Site icon cagliari.vistanet.it

«Restano cicatrici nell’anima»: La storia dell’ogliastrina Immacolata e della sua lotta al bullismo

«Mi chiamo Maria Immacolata e sono mamma a tempo pieno di una splendida bambina, ho lavorato immersa nei libri in biblioteca. Il mio sogno sarebbe farlo diventare un vero e proprio lavoro, ma ho anche un grande amore per gli animali che mi ha sempre portato a immaginare una fattoria didattica tutta mia: gli animali sono sempre stati pronti a tendermi una zampa nel momento del bisogno.»

Inizia così il racconto della 34enne Immacolata – di Lotzorai ma da dieci anni a Tortolì –, ora finalmente serena nella sua quotidianità. Sì, perché la sua infanzia non è stata altrettanto semplice. Il bullismo si innesta nella vita di chi lo vive distruggendo sogni e rendendo il mondo più nero, più cupo.

«Devo scavare a fondo per trovare bei ricordi. Volevo solo vivere la mia infanzia come una bambina serena. Sin dall’asilo ho dovuto combattere, persi la spensieratezza. Sono cresciuta senza un padre e questo non aiutò.»

Immacolata già alla scuola materna prova la terribile sensazione di essere messa da parte. È piccola, troppo piccola per capire certi meccanismi, ma quel che riesce a comprendere è che sembrava che fosse “contagiosa”. Alle scuole elementari la situazione non migliora: «Mi prendevano in giro anche per come vestivo. Io non raccontavo nulla di quel che mi accadeva a mia madre, non volevo appesantirla.»

Alle medie, il peggio. «Le prese in giro si facevano più forti: spesso mi tiravano i capelli, mi spingevano o mi davano qualche colpo e poi ridevano.»

Immacolata ricorda più che altro un avvenimento: la scuola, poiché la sua mamma non può permetterselo, si offre di pagarle la gita ma quando i compagni lo scoprono non ne sono lieti.  «Mi dissero che non era corretto che io ci andassi gratis, mentre loro avevano pagato. Erano arrabbiati, se la presero con me.»

Immacolata si chiude sempre più in se stessa.

«Avevo pochi vestiti e questo veniva associato al lavarsi poco, ma non sapevano che li lavavo a intermittenza. Alcuni di quelli di mia mamma erano anche rattoppati, lei per non far mancare nulla a me preferiva togliersi qualcosa lei: purtroppo non potevamo permetterci di sostituirli ogni volta che si rovinavano.»

Anche alle scuole superiori le cose continuano. Alla lavagna, continuamente prese in giro, caricature e derisioni.

«Hanno provato ad abbattermi in ogni modo, al punto che più volte ho pensato seriamente a voler mollare la scuola. Ma stringendo i denti sono riuscita a diplomarmi.»

Ma anche dopo il diploma, con i social network, i bulli si fanno avanti.

«Col tempo cresci, cerchi di non farti più toccare da queste cose e ti ritrovi a 34 anni però con dei traumi profondi. Ora sono impaurita per mia figlia che sta iniziando la scuola.»

Lo chiamiamo oggi bullismo e cyberbullismo e siamo ben consapevoli di quel che provoca, ma all’epoca era tutto un tripudio di “sono ragazzi” o “hanno fatto una bambinata”.

«Ma ero una bambina anche io.»

A chi le ha causato sofferenza? Oggi Immacolata non direbbe nulla, si è allontanata da certe dinamiche. Del resto, ha trovato il suo mondo, la sua quotidiana serenità. Le cicatrici ci sono e ci saranno per sempre.

«Ai ragazzi che stanno passando episodi di bullismo direi di cercare aiuto, gridare più forte che possono e di non stare in silenzio: la cosa peggiore è stare zitti perché la vita è una e tutti meritiamo di viverla! Parlate con i vostri genitori, con i parenti, amici o anche con estranei. Di fondamentale importanza è anche avere un supporto psicologico in questi casi.

E la cosa peggiore è che, in questi casi, si pensa di meritare certi comportamenti. «Ma no! Con il passare degli anni, ma grazie anche all’affetto di mio marito e mia figlia, ho capito che non ero io il problema, ma gli altri.»

Exit mobile version