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Jacopo Cullin, il “Carlo Verdone sardo”: lode al comico che porta in scena le maschere della società isolana

Sono passati quasi 20 anni da quando un ragazzo cagliaritano alto e magro, poco più che ventenne, comparve sugli schermi televisivi di tutta la Sardegna con indosso un giubbotto Dainese con le maniche sollevate, una grossa collana e un cappellino con la visiera spostata verso l’alto. Quello stesso personaggio, Salvatore Pilloni, che nel 2004 “bucò” la tv isolana scatenando risate e tormentoni entrati nella memoria collettiva, viene oggi portato in giro nei migliori teatri della Sardegna e in alcuni prestigiosi palcoscenici nazionali (l’Ambra Jovinelli di Roma su tutti) con lo spettacolo “È inutile a dire”.

Certo che vedere quella maschera, prototipo del “gaggio cagliaritano”, dominare la scena del serio e ricercato palcoscenico del Teatro Lirico di Cagliari, fa un certo effetto. Lì, dove sono state allestite le scenografie di Pinuccio Sciola per la Turandot di Puccini, dove sono state eseguite le arie più celebri della storia della lirica mondiale, da “libiamo nei lieti calici” a “Nessun dorma”, è salito alla ribalta nelle scorse settimane questo ragazzo sardo che fa ridere. Fa tanto ridere da circa 20 anni.

C’è Salvatore Pilloni alle prese con lo “pisscologo” e con le sue clamorose lacune lessicali, c’è signor Tonino che porta il suo “Aaaaaa Roberto!” al mare per giocare con la sabbia e si mette a chiacchierare con un uomo alle prese con problemi coniugali e c’è Angiolletto Biddi’e Procu, che ha sempre una opinione particolare sulla realtà contemporanea e lo scibile umano, dai vaccini alla guerra in Ucraina, passando per la Sacra Bibbia, letta da questa simpatica macchietta dell’anziano medio-campidanese, con un punto di visto molto personale.

Ad accompagnare questi personaggi un bravissimo Gabriele Cossu, spalla perfetta di Cullin e uno dei segreti del successo di questo spettacolo. Il comico antiochense, con i suoi tempi scenici, la sua innata simpatia e il suo affettuoso approccio da fratello maggiore, esalta la verve del 41enne cagliaritano, a cui viene sempre lasciato l’ultimo sussulto prima della fragorosa risata del pubblico.

Quello di Cullin è per certi versi un racconto che, con le dovute proporzioni, ricorda la saga tutta romana di Carlo Verdone: maschere regionali inserite nella realtà contemporanea con tutti i loro vizi (tanti) e le loro virtù (poche, scarne ma genuine).

E il pubblico che ride, schiamazza, si piega in due dal divertimento davanti a queste scene di brillante comicità, ha l’occasione di rendere più leggere settimane faticose, giorni trascorsi ad affrontare le piccole difficoltà quotidiane. Ma sono risate che lasciano spazio anche al pensiero, alla riflessione leggera sul mondo di oggi. Perché forse, alla fine, “Damo e Deva” alle prese con la mela (che “già lla volleva”…”) siamo un po’ tutti noi: donne e uomini di Sardegna con le nostre piccole storie personali immerse in un grande e problematico presente. E allora bravo Jacopo, la Sardegna ti ringrazia per tutte le risate di questi ultimi 20 anni.

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