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Sardi famosi. Sigismondo Arquer, il “Giordano Bruno sardo” arso vivo dall’Inquisizione

C’è chi lo definisce il “Giordano Bruno di Cagliari”. Oggi alla Marina una via ne ricorda il nome e senza ombra di dubbio Sigismondo Arquer è una delle figure più interessanti del Cinquecento sardo. Nato a Cagliari nel 1530, figlio di un giureconsulto, per un certo tempo è stato avvocato fiscale del regno, laureatosi a soli 17 anni in utroque iure all’Università di Pisa, poi in Teologia, a Siena.

Autore di “Sardiniae brevis historia et descriptio”, pubblicata dalla “Cosmographia universalis” di Sebastiano Münster, e delle “Coplas al imagen del crucifixo”, l’Arquer è stato espressione della burocrazia intellettuale e del ceto togato, nel periodo di contatto fra cultura iberica e italiana. Negli anni universitari, Sigismondo è entrato in contatto con la cultura italiana sensibile al fascino del luteranesimo protestante, elaborando così una dottrina religiosa cristiana basata sulla libera comprensione delle Sacre Scritture, senza dogmi e verso una “pietas” interiore spirituale.

Per i suoi tempi, Sigismondo Arquer è stato un eretico, in quanto rappresentante dell’eresia colta d’Italia, forse lontana dall’ambiente culturale isolato della Sardegna. Nel 1571, ecco allora la condanna al rogo da parte dell’Inquisizione, a Toledo. L’Arquer è morto così tra le fiamme, senza mai aver rinnegato la sua fede.

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