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La Sardegna come Jurassic Park: ecco i punti in cui sono stati trovati più fossili

In alcuni luoghi della Sardegna sono saltati fuori, nel tempo, veri e propri scrigni preziosi di antichi fossili. Tra questi, sicuramente, Ghilarza, Gonnesa e Orosei hanno regalato agli studiosi dei ritrovamenti preziosissimi.

Come racconta molto bene Alberto Caocci nel suo libro “La Sardegna” ( Edizioni Mursia), nel Lago Omodeo vivevano un tempo i coccodrilli e a Ghilarza ( nella zona di San Serafino) è emerso un colossale tronco fossile di 12 metri di lunghezza, che risale a circa 20 milioni di anni fa. Sempre nel paese dell’oristanese, è stata riportata alla luce una vera e propria foresta fossile.

A Gonnesa, invece, è stato trovato il fossile di un cervo vissuto la bellezza di dieci milioni di anni fa, così come l’elefante nano scoperto alla fine dell’Ottocento e poi ( purtroppo) trasferito in un Museo di Basilea.

Purtroppo i resti di quest’ultimo animale, simile a un mammut, sono piuttosto frammentari. Infatti oltre a sporadici ritrovamenti di denti isolati, l’unico esemplare di cui possediamo parte dello scheletro è proprio quello ritrovato a Gonnesa. Di esso sono stati recuperati alcuni frammenti degli arti, del bacino, alcune vertebre, costole e la mandibola. I calchi di buona parte delle ossa ritrovate a Gonnesa sono oggi esposti nel Museo dei Paleoambienti Sulcitani di Carbonia.

Il vero Jurassic Park sardo, però, secondo Caocci è quello relativo al territorio di Orosei, nel nuorese. Qui, sul Monte Tuttavista, sono stati trovati tantissimi resti di animali vissuti anche 700mila anni fa, spesso caratterizzati da nanismo: antilopi nane, cinghiali nani, antenati della lontra e della iena.

Il fossile più conosciuto è però probabilmente quello di un macaco.

Intorno a 6 milioni di anni fa, nel Miocene, lo stretto di Gibilterra si chiuse per effetto del clima arido, il mar Mediterraneo si era ridotto a un insieme di laghi salati e le terre risultavano praticamente collegate tra loro. La Sardegna si ergeva al centro di tutto questo.

Fu in quel periodo che l’Isola conobbe un periodo di grande popolamento da parte di fauna proveniente soprattutto dall’Africa settentrionale. Tra gli animali che fecero la loro comparsa, ben prima degli ominidi, vi fu una specie di scimmia, l’unica che la storia faunistica della Sardegna conobbe.

Si trattava dei primi antenati del “Macaca Majori”, una bertuccia nana tipica della Sardegna, appartenente alla famiglia dei Cercopitecidi e molto simile a quelle oggi presenti a Gibilterra, il Marocco e altre zone del Maghreb (il “Macaca Sylvanus”). Le sue dimensioni erano leggermente inferiori, da qui l’appellativo di “nana”.

Queste scimmie trovarono terreno fertile in Sardegna tant’è che si diffusero all’incirca in tutta l’Isola. A testimonianza di ciò vi sono i consistenti ritrovamenti registrati uno nella parte orientale a
Capo Figari e l’altro a occidente nella zona di Fluminimaggiore, in località S’Orreri.

Non è chiaro quando questo genere di scimmie si estinse, ma la teoria più affascinante, testimoniata da alcuni ritrovamenti come quello di una lampada in bronzo risalente al periodo nuragico, vuole che questi animali entrarono a contatto anche con gli esseri umani e che furono proprio gli esseri umani la causa della loro estinzione. Di sicuro la prezenza del Macaca Majori in Sardegna è stata centrale in tutto il Pleistocene e forse si è spinta sino al Neolitico.

 

 

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