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Adriana Cannas e la lotta contro fibromialgia e artrite: «Bisogna sensibilizzare»

«Quando parlavo dei miei problemi con altre persone, spesso non mi credevano: mi vedevano sempre sorridente. Allora mi toccava persino spiegare che se mi facevo vedere dal mondo triste i miei problemi e i miei dolori non diminuivano. Raccontavo loro degli anni in cui non riuscivo nemmeno a camminare e piangevo, quindi gioivo per il fatto di essermi rimessa in piedi. Ora? Affronto tutto con il sorriso, anche grazie alla mia meravigliosa famiglia che mi è sempre stata vicina, in passato come adesso. Non mi sono mai lasciata andare e ho sempre combattuto.»

Inizia così il racconto da leonessa della 56enne Adriana Cannas, villagrandese, che da sempre combatte contro artrite reumatoide deformante e fibromialgia – riconosciuta solo dopo molto tempo.

Ma facciamo un passo indietro. È il 1990/91 quando Adriana inizia a sentirsi male. Ha venticinque anni e una bimba piccola, quindi accettare tutto quel dolore è ostico.

«Le mani erano sempre gonfie e non riuscivo a muoverle, camminare era un calvario. Non capivo cosa stesse accadendo al mio corpo. Ero preoccupata per me, sì, ma anche per la mia bambina che non riuscivo nemmeno a tenere in braccio: tutto, a quell’epoca, mi cadeva dalle mani. Non era facile alzarsi dal letto: mi ci voleva quasi un’ora prima di riuscire a mettere i piedi per terra. La mia famiglia mi aiutava costantemente tramite massaggi a gambe e braccia.»

È allora che arriva una diagnosi: artrite reumatoide deformante.

«Sono trascorsi trent’anni da allora. Nel frattempo, varie sono state le problematiche legate all’artrite e dalle medicine, molto forti, prescritte per essa. Mi sono ritrovata anche impossibilitata a lavorare.»

Ma non è finita qui.

«Iniziai quindi ad avere tanti dolori alle gambe, dolori che a me parevano diversi da quelli dell’artrite. Non mi facevano dormire, erano fitte allucinanti a cui si aggiunsero anche i crampi. Andò avanti per lunghi anni. Notte dopo notte, la mia situazione diventava sempre più dolorosa e la mattina, di nuovo, non riuscivo ad alzarmi.»

Pensa al peggio ma cerca di non perdere la speranza: del resto, Adriana è una guerriera e per carattere non si butta giù facilmente.

«Chiesi che mi venisse fatta una visita alle gambe ma dall’ecodoppler non uscì nulla. A preoccuparmi, i farmaci, molto potenti, che prendevo per l’artrite: metotrexate, farmaco biologico, ma anche cortisone e antinfiammatori vari. Ogni volta che andavo a una visita raccontavo i problemi che rischiavano di farmi andare fuori di testa, parlavo dei dolori impossibili da sopportare e delle notti in bianco in preda alla sofferenza.»

Inizialmente, tutto viene ricondotto all’artrite, poi la svolta: si parla, finalmente, anche di fibromialgia.

«Ne soffrono tante persone ma, non essendo una malattia riconosciuta come invalidante, non se ne parla molto e viene sottovalutata. Anche un’amica di mia figlia ne soffre e, parlando con lei, ho capito che erano tantissimi anni che ne ero afflitta anche io. Eppure lo dicevo, ai medici, che anche mentre camminavo mi si piegavano le ginocchia e avevo sempre paura, quindi, di cadere e frantumarmi le ossa!»

Quando si arriva quindi alla fibromialgia, Adriana crede che finalmente avrà una cura che allevierà le sue pene, ma questa è una speranza vana.

«Erano già così tanti i farmaci che prendevo che mi venne dato solo un integratore.»

E oltre al danno, la beffa: è tutto a pagamento.

«Per una persona che non può lavorare è un po’ un controsenso che si paghino certi farmaci. La mia invalidità copre solo le questioni relative all’artrite, ma quelle per la fibromialgia non rientrano. Sono malattie che annientano la vita di chi ne soffre. Poi, se l’essere umano colpito non riesce ad affrontarle bene, rischia persino di entrare in depressione: immaginate di prendere farmaci d’ogni tipo e non riuscire a dormire per spasmi, crampi e dolori: si impazzisce.»

Ma sensibilizzare le persone su questa malattia non è semplice: «Non se ne parla abbastanza, non si conosce e, non essendo riconosciuta come malattia invalidante, non si comprendono appieno le difficoltà che arreca nella vita di tutti i giorni.»

«Prego Dio,» continua «che la fibromialgia venga riconosciuta come malattia invalidante, dato che rende un inferno la vita di chi ne soffre. Non so quali dolori, tra quelli dell’artrite reumatoide deformante e quelli della fibromialgia, siano peggio. Auguro a chiunque di non soffrirne mai, e soprattutto di informarsi. Ecco, una speranza che ho è che il Ministero della Salute stesso si informi in modo da rendere la nostra vita più semplice: spero che legga le nostre testimonianze e che faccia qualcosa di concreto.»

Sì, perché questo morbo va studiato affinché si capisca in che modo agisce e come bloccarlo, anche perché, se non diagnosticato subito, va avanti, prolifera e poi è difficile placarlo.

«Va studiata, la fibromialgia,» chiude Adriana Cannas «perché magari con i farmaci giusti i malati potrebbero avere una vita normale.»

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