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Lo sapevate? Perché i monti dei Sette Fratelli si chiamano così?

Lo sapevate? Perché i monti dei Sette Fratelli si chiamano così?

Le cime dei Sette Fratelli svettano nella parte sud-orientale dell’isola, a soltanto poche decine di chilometri da Cagliari. Si tratta di un complesso montuoso suggestivo, sede di una lussureggiante foresta e meta ambita di escursionisti e scalatori. ma perché si chiamano così?

Il massiccio – come indica il nome – è costituito da sette vette granitiche intervallate da profonde gole, ricoperto da foreste e attraversato da torrenti: a nord-est si gettano negli stagni del Sarrabus, verso ovest confluiscono nel rio Maidopis, mentre nel versante meridionale scorre il rio sa Ceraxa, che sbocca a Geremeas, nel litorale di Quartu Sant’Elena.

Intorno uno dei parchi più grandi dell’Isola: il parco regionale dei Sette Fratelli – Monte Genis, su cungiau regionali de Is Setti Fradis – Monti Genis in sardo, si estende per oltre 58 ettari a sud-est della provincia di Cagliari e interessa nove comuni. Occupa parte del Sarrabus e del Campidano di Cagliari. È una zona poco abitata; l’unico centro abitato di tutto il parco è Burcei, che risulta completamente circondato dal parco. La strada principale che attraversa il parco è la Strada statale 125 Orientale Sarda.

Quasi tutti i monti del parco non raggiungono i 1000 metri d’altezza. Le uniche montagne che superano questa quota sono il monte Serpeddì, un monte aguzzo che domina il basso Campidano e il golfo degli Angeli, che tocca i 1069 metri d’altezza, e punta Sa Ceraxa uno dei Sette Fratelli, che raggiunge i 1016 metri.

Nel parco scorrono diversi ruscelli che poi danno vita ad alcuni corsi d’acqua di media importanza con una portata maggiore, come per esempio il rio Su Pau che sfocia nel territorio di Quartu Sant’Elena in località Flumini.
Sui rilievi, a volte aspri e di difficile accesso, predominano la foresta-macchia di lecci, sughere, roverelle, ginestre e un sottobosco ‘mediterraneo’ dai mille profumi e colori, come corbezzoli, timo, lavanda, erica e viburno. A quote più basse, crescono mirto, lentischi, olivastri e ginepri. Oleandri, pioppi e salici contornano le sponde dei ruscelli. La ricca vegetazione è habitat di cinghiali, conigli, lepri, martore, gatti selvatici, nonché specie rare o endemiche. I daini vivono in apposite aree recintate, mentre i mufloni sono stati reintrodotti dal 1987 sul Monte Genis.

I monti devono il nome al numero delle alture, sull’origine delle quali ruotano fin dall’alba dei tempi numerose leggende.

Si racconta infatti che a progettare il massiccio fu una mano divina, ispirata dalle sette stelle della costellazione dell’Orsa, affinché anche sulla terra gli uomini potessero ritrovare un altrettanto valido punto di riferimento per i loro pellegrinaggi. Altro racconto prende invece avvio in un tempo ancora più antico, quando ancora non vi sarebbero state neppure le stelle del Grande Carro. E pare che, allora, vivesse una vedova, sola, che si sostentava grazie a una modesta coltivazione di grano. Senza possedere grandi terreni da coltivare la donna poteva contare su un’ampia aia, nella quale conservava i covoni di grano suoi, ma anche quelli dei vicini. Si trattava quindi di sette fratelli, che – pur possedendo estese coltivazioni – potevano far conto soltanto su un’aia decisamente piccola, motivo per cui i compari si scambiavano in amicizia piccoli favori di questo tipo.

Una notte la vedova, dal silenzio del suo letto, udì il rumore di un carro. Spaventata, e impossibilitata dalle tenebre a vedere cosa in realtà stesse succedendo, decise di chiamare i compari, i quali la rassicurarono dicendole che a svegliarla era stato nient’altro che il vento. Lei, rasserenata, si riaddormentò, ma in realtà i sette malvagi fratelli avevano intanto stipato i covoni della  donna in un carro, per poi allontanarsi sfruttando il favore del buio e del forte vento. Intervenne così il Vento stesso, infastidito dall’essere stato chiamato in causa dai truffatori, e con un forte soffio scombinò il malvagio piano.

Il carro venne allora sospinto fino al cielo, cui si fissò formando la costellazione del Grande Carro (Orsa Maggiore), e i covoni andarono invece a definire la via Lattea, mentre sulla terra nasceva un massiccio – quello appunto dei Sette Fratelli – quale rappresentazione terrena della costellazione. Secondo una variante della storia, invece, i fratelli sarebbero ancora lì, pietrificati e condannati a scontare la loro punizione sotto forma di montagne.

 

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