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Lo sapevate? Da dove deriva il detto “sassarese impiccababbu”?

Lo sapevate? Da dove deriva il detto “sassarese impiccababbu”?

“Cagliaritano africano”, “Sassarese impiccababbu”: questi sono solo alcuni degli appellativi tipici della rivalità tra il capoluogo e Sassari. Sui muri di entrambe le città compaiono scritte ingiuriose che vanno ben al di là dello sfottò calcistico. Questa rivalità non è, dunque, circoscritta all’ambito calcistico, ma anche a quello geografico e sociale, e benché la stragrande maggioranza delle persone non lo sappia, affonda le sue radici in epoche storiche lontanissime.

Ma qui la rivalità non c’entra niente, sì perché il detto “sassarese impiccababbu” viene dagli sviluppi di un’antica leggenda. Scopriamola insieme.

A Sassari ai tempi dell’inquisizione, si consumò un terribile misfatto. Si tratta di una leggenda ma l’episodio è molto interessante.

Il tribunale si trovava all’interno del castello, purtroppo abbattuto nel corso del XVIII secolo. Il boia, il cui vero aspetto era sconosciuto a tutti, abitava in una piazzola del centro storico, oggi chiamata Largo Quadrato Frasso, oggi ben tenuta e decorata di verdi piante e ristorantini.

Ai tempi, però, dopo il terribile evento, fu ribattezzata “Pattiu di lu diauru”, Patio del diavolo. Il boia usciva di casa tutte le mattine all’alba, interamente coperto dal suo mantello, per poi ritornarvi a tarda sera.

Un giorno gli venne affidato un condannato a morte, imbavagliato e legato, perché fosse giustiziato. Il boia doveva incappucciare il condannato per poi condurlo fino alla Piazza Duomo dove sarebbe stata eseguita la condanna. Il trasporto avveniva con un carretto di legno, e sempre con lo stesso carretto trasportava i cadaveri dei giustiziati.

Il boia, nel momento di mettere il cappuccio al condannato, si rese conto che si trattava del suo unico figlio scomparso da qualche tempo. Colto dalla disperazione propose al giovane uno scambio.

Si sarebbero scambiati i ruoli e sarebbe morto lui al suo posto, tanto nessuno conosceva la vera identità del boia. Il giovane, pentito per i suoi delitti, abbracciò il padre piangendo e si scambiarono le vesti. L’uomo fu impiccato al posto del figlio.

 

 

Secondo fonti storiche, probabilmente la rivalità tra Cagliari e Sassari ebbe inizio nel 1163, quando nel Giudicato di Calari (l’odierna Cagliari)  il giudice Pietro Torchitorio II subì una congiura e dovette cedere il trono e rifugiarsi presso Barisone II, giudice di Torres, nonché suo fratello. I calaritani attaccarono Torres nel 1195 agli ordini del giudice Guglielmo Salusio IV; quest’ultimo conquistò il castello del Goceano, catturò la moglie del re turritano e la portò a Santa Igia (l’odierna Santa Gilla) e qui la violentò.

Nel 1323 i sassaresi si allearono con gli aragonesi nell’assalto a Castello (così si chiamava Cagliari in epoca pisana) che portò alla conquista della città da parte degli iberici. Il Governatore però scelse proprio Cagliari come sua residenza, e ciò fece infuriare non poco i sassaresi. Ma a scatenare le diatribe furono anche futili motivi: le due città si scontrarono sia sul primato della fondazione delle università che sulla supremazia delle proprie diocesi.  Queste dispute fomentarono non poco anche il popolo.

Sassari non ne volle sapere di dipendere dall’amministrazione centrale di Cagliari, perciò, nel 1795, inviò una petizione a re Vittorio Amedeo III nella quale si chiedeva di poter dipendere direttamente dal Piemonte. I nobili cagliaritani ne approfittarono subito, fomentando la rivolta degli abitanti sassaresi contro i nuovi padroni. Il campanilismo si fece più acceso in occasione della divisione della nostra Isola nella provincia di Cagliari e nella provincia di Sassari: correva l’anno 1861. Anche dinnanzi alla stesura dello Statuto sardo da inserire nella Costituzione, nell’immediato dopoguerra, la tensione si fece sentire: i sassaresi volevano che la propria città diventasse capoluogo della Regione autonoma. Così non avvenne e l’inimicizia raggiunse livelli ancor più aspri. I tempi moderni non hanno appianato questi dissidi. Altro che unità del popolo sardo.

 

 

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