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Lo sapevate? La “Carta de Logu” prevedeva regole e tutele per l’antico cane sardo

La “Carta de Logu”, l’antico codice civile, penale e rurale del Giudicato d’Arborea prevedeva precetti e tutele per l’antica razza canina autoctona sarda.

Nella raccolta di leggi viene denominato “Jacaru“, sinonimo di “Jàgaru” e “Zacaru” che  deriverebbe da”jagarai”, “jacarare”, “zacarare” o “aggiagarai” (aizzare, assalire, mettere in fuga o attaccare), e si riferiva ad un grosso mastino medievale.

In particolare la “Carta de Logu” ne dispone adeguata custodia e vigilanza, pena l’uccisione dell’animale e la sanzione per il proprietario. Nel caso di furto, il colpevole condannato avrebbe dovuto versare una notevole somma di denaro al legittimo padrone.

Questo sottolinea l’importanza di questa razza canina all’epoca, che continuò ad avere sotto la dominazione spagnola con molti di questi esemplari portati in Spagna e nel Regno di Napoli.

Il “mastino” dell’Isola del XIV secolo, doveva essere di taglia molto grande e le sue doti erano preziose per l’economia rurale. Quello arrivato fino a noi oggi chiamato anche Dogo Sardesco, è un animale più slanciato ma comunque possente.

Le sue origini sono antichissime, quanto il suo utilizzo da parte dell’uomo come cane da guardia e per la caccia nell’Isola.

Chiamato anche “Cani Pertiatzu” è sempre stato considerato un cacciatore e guardiano eccellente, grazie alle sue numerose qualità.  Un cane intelligente, coraggioso, affidabile, dal buon temperamento ma estremamente reattivo.

Il significato del temine sardo “pertiatzu”, oggi è riferito all’indole indomita di questa tipologia di cane nell’eseguire i comandi del padrone. Tale nome deriva dalla parola “pertias” (strisce), infatti la maggior parte degli esemplari di questa razza hanno il mantello tigrato. In particolare strisce di colore chiaro e scuro, a parte la testa solitamente nera.

In alcune zone, in “Limba” è conosciuto anche con il nome di  “Trighinu o Trinu“, e anche questo termine si rifà a al tipico colore del mantello del cane.

E’ un molossoide, dotato di una possente dentatura con chiusura a tenaglia o a forbice. Questa caratteristica e la proverbiale forza, lo rendono ancora oggi un cane perfetto per guardia e conduttore del bestiame bovino.

Ha una muscolatura molto sviluppata, con le zampe posteriori più slanciate rispetto alle anteriori. L’altezza varia al garrese tra i cinquanta e i sessantacinque centimetri, la groppa solitamente risulta più bassa. Il peso dell’animale si aggira tra i trenta e i quarantacinque chilogrammi.

Il classico mantello varia dal colore nero al grigio, e le striature hanno la tonalità bianche e color miele.  Il pelo duro e ispido è solitamente corto o di media lunghezza.

È stato utilizzato nella Guerra Italo-Turca del 1911, dove molti esemplari di “Cani Pertiatzu” sono riconoscibili nella foto prima della partenza per la Libia dal porto di Cagliari.

Ma molti dimenticano un altro fatto avvenuto nel gennaio del 1793, dove questa razza canina fu protagonista nel litorale quartese. Le truppe francesi che tentarono di invadere l’Isola, non furono respinte solo dalle milizie sarde. A dare manforte accorsero i contadini e pastori transumanti. Questi in quel periodo portavano a svernare le proprie greggi nelle pianure e aizzarono nella notte i fedeli cani, tra i quali i “Pertiatzus”, contro i francesi. Gli invasori aggrediti e dilaniati tra le dune del litorale fuggirono in mare disordinatamente.

Su “Cani Pertiatzu” ha rischiato l’estinzione, ma è sopravvissuto nelle zone più interne dell’Ogliastra, Barbagia, Baronia e del Sulcis. Oggi, il suo numero è in aumento grazie ai molti estimatori, e nonostante non sia una razza riconosciuta dalla FCI è molto apprezzata in Italia e all’estero.

Ringraziamo per le foto, Bernardo Deidda di Seui.

 

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