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Lo sapevate? Nell’800 a Montevecchio le prostitute venivano da Parigi

In un articolo della storica e antropologa Grazia Villani intitolato “Calamine e sollazzi”, si legge che intorno al 1860, un gruppo di prostitute provenienti dalla Francia si stabilì a Montevecchio, dove si costituì una vera e propria casa di tolleranza. Le prostitute ufficialmente figuravano come delle lavoratrici e la Direzione che era al corrente della vera attività svolta dalle donne, la condannava formalmente. In realtà però tollerava la presenza di queste prostitute che probabilmente contribuivano a tenere calmi gli animi degli uomini impiegati nella miniera.

Non bisogna dimenticare infatti che a metà dell’800 la miniera di Montevecchio da cui si estraevano i minerali per la produzione del piombo, contava mille e cento operai ed era la più grande del Regno d’Italia. La vita della miniera si svolgeva nella più rigida divisione per classi sociali e si cercava in tutti modi di evitare contatti, anche nei momenti di svago, tra gli operai e le loro famiglie praticamente tutti sardi e gli impiegati, i dirigenti, gli ingegneri e gli altri tecnici, per lo più giovani e “forestieri”. Gli impiegati che lavoravano a Montevecchio per periodi limitati, difficilmente si facevano accompagnare dalla famiglia.

Probabilmente la presenza delle prostitute serviva ad evitare che qualche impiegato potesse “insediare” le donne degli operai suscitando tensioni sociali. Ma nel 1869, accadde un terribile fatto di cronaca: vicino a uno dei capannoni che ospitavano i dormitori dei lavoratori fu trovato il corpicino di un neonato, nato vivo e poi strangolato. La notizia si diffuse e ne nacque uno scandalo che spinse la Direzione a decidere di mandare via le prostitute e chiudere la casa di tolleranza semiclandestina. Iride Peis, autrice di diversi testi su Montevecchio e sulle sue donne, nel suo libro “Voci di donna nella collina di Genna Serapis” si ispira all’articolo di Grazia Villani per raccontare questa circostanza in maniera romanzata.

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