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Irene Nonnis, la First Lady della Morte che trucca i defunti per lavoro e vocazione

«La morte? Ho un buon rapporto con lei: ho imparato a non temerla, ne sono quasi attratta. È l’unica certezza che abbiamo della vita, l’unica cosa che sappiamo con sicurezza che ci accadrà. Non siamo certi del quando, come e perché, ma ci sarà. Nel mio caso, decide tutto: quando chiama, io devo rispondere.»

La chiamano la First Lady della Morte, ha trentatré anni e quotidianamente ha a che fare con i defunti, quindi lavora 7 giorni su 7, h24. Ma chi è Irene Nonnis, in arte Tanatolady, e qual è il suo – sconosciuto ai più – impiego? La ragazza, originaria della Sardegna per parte del padre (di Macomer), è una tanatoesteta.

«La tanatoestetica consiste» spiega Nonnis «nella toelettatura mortuaria, quindi lavare e disinfettare la salma, e – dopo la messa in bara – nel trucco correttivo che elimini i segni della morte.»

Far sembrare che il defunto dorma sereno, questa la mission quotidiana di Irene Nonnis, che abita in Liguria. «Questo sia perché parenti, amici e conoscenti possano avere una corretta gestione del lutto e sia per rispetto a quella salma che un tempo era una nonna, una sorella, un padre e comunque qualcuno che in vita è stato tanto amato.»

La tanatoestetica – come spiega Tanatolady – è una branca della tanatoprassi che consiste, tra le altre cose, in un’iniezione conservativa che qui in Italia è compito dei medici legali. Nel nostro Paese le leggi che regolano questo mestiere sono nebulose, poco chiare, spiega la Nonnis. «Siamo molto indietro burocraticamente, io non ho nemmeno un codice Ateco.»

Ma come inizia il suo percorso? «Conosco la morte perché, mio malgrado, l’ho vissuta tramite la famiglia di mia madre. Mi è sempre stata spiegata in modo chiaro e questo mi ha aiutato a comprenderla. Anche quando si ha a che fare con i bimbi, bisogna essere chiari: la morte fa parte della vita. Niente “Nonno è andato in cielo”: bisogna dire la verità e non solo, anche renderli participi del momento, se volessero o meno andare a dare l’ultimo saluto bisogna sempre rispettare le loro volontà. Questo è un punto che vedo come fondamentale.»

Un giorno di tanti anni fa si reca in Francia e scopre l’Istituto della Tanatoprassi, ne rimane affascinata ma si rende conto che nello Stivale non c’è nulla di simile. Poi, dopo aver svolto altri lavori per un po’, ecco nove anni fa il primissimo corso della Terracielo Funeral Home a Modena. Irene Nonnis si iscrive a due, uno di primo e l’altro di secondo livello. «Così è iniziata, con qualche ostacolo, la mia carriera. Bisogna studiare, aggiornarsi costantemente: non è un lavoro dove ci si improvvisa. Non essendo una posizione in Italia riconosciuta, molti pensano che la possa fare chiunque. Sento costantemente frasi come “Faccio l’estetista e la truccatrice, trucco i vivi, potrei farlo con i morti”. Ma non è così, è totalmente diverso.»

Trovare impiego non è semplicissimo: i primi a non capirne l’importanza – proprio perché se ne parla poco e regna l’ignoranza – sono proprio i direttori tecnici delle agenzie funerarie. «“Se prima facevamo in un modo, ossia senza questa figura, perché cambiare adesso?”: questo lo scoglio che mi trovavo spesso davanti. Ma la fortuna è stata che una volta che vedono i risultati ti tengono a lavorare per loro.»

Come primissimo lavoro, le capita un caso abbastanza complicato di suicidio. «Ho dovuto fare anche un lavoro di ricostruzione del collo, in modo da eliminare i segni di quel che era accaduto, e avevo ansia e adrenalina a mille.» All’inizio del suo percorso, spiega, si lega troppo alle sue salme. «Lavorando in una casa funeraria, andavo a trovarle e a vegliarle anche oltre l’orario di lavoro. Era un errore che ho imparato nel tempo: da professionista non posso attaccarmi, devo trattare ogni defunto nello stesso modo, con razionalità e mettendo parzialmente da parte le emozioni. Ho molto rispetto e cura nei confronti dei morti di cui mi prendo cura, sicuramente non faccio questo lavoro per soldi.»

Quando si tratta di un caso semplice, racconta, ci vuole un’oretta per eliminare i segni della morte. Il suo caso più complicato di ricostruzione? Otto ore e tanta fatica. Riguardo il fatto che in Italia la morte sia ancora tabù, la Nonnis ha un’idea ben chiara: «In Italia la morte è il nuovo sesso, anzi, del secondo si inizia a parlare con libertà ma della dipartita no.»

Eppure, viene da dire, è un passaggio completamente naturale, ma tant’è. «Una società che non parla ai propri cittadini della morte e non si prende adeguatamente cura dei propri defunti è malata e piena di problematiche. Per riuscire a togliere alla morte quest’alone di terrore basterebbe parlarne,» continua la trentatreenne «e io ho iniziato nel 2017, con il nome di Tanatolady. Sono partita con un canale YouTube e ho continuato poi sui social. La cosa interessante è che le persone ne sono curiose, spaventate ma attratte. Come tutte le cose che non si conoscono, la morte si teme, ma basterebbe solo un po’ di sana informazione. Ecco, l’unico consiglio: parlatene con professionisti.» Irene, pur appassionata di cose inquietanti, di leggende che gravitano attorno al tema – anche sarde, infatti dichiara di essere ammaliata dalla figura dell’Accabbadora – e di credenze macabre e inquietanti, lavorativamente parlando mantiene un approccio scientifico.

«Molte cose che capitano quando si ha a che fare con una salma sembra abbiano a che fare con il paranormale, ma è tutto spiegabile scientificamente. Faccio un esempio: i morti emettono spesso un rumore, ma è solo aria che entra dalla bocca e tocca le corde vocali. Oppure, capita che mentre stai lavorando sulla loro mano per togliere il rigor mortis, loro te la stringano: anche in questo caso è solo questione di nervi che si ritirano.»

Però… «Sì, ho un approccio scientifico, come ho detto, ma so anche che c’è qualcos’altro dopo la morte. Si dice che l’anima dell’ultima salma che prepari resti con te per giorni.»

Adesso, dopo il Covid, ha imparato a prendersi anche i suoi tempi. «Non giro più come prima, che facevo la spola tra Liguria, Lombardia e Piemonte, ma ho rallentato. Non posso essere sempre e solo Tanatolady, ho dedicato a questo lavoro lunghi anni della mia vita. Devi anche essere predisposto, vedi tante cose brutte. Il mio cervello ha imparato a proteggermi, a schermarmi: ecco, l’unica cosa a cui non mi posso abituare sono i bambini, non riesci proprio a fartene una ragione.»

Se prima c’era solo Tanatolady, insomma, adesso c’è anche Irene Nonnis, con i suoi bisogni e le sue priorità. E, per chiudere, rivela quale sia la domanda più strana che le viene fatta. «“Ma i cinesi muoiono?” mi chiedono tutti. Sì, do questo spoiler, muoiono, semplicemente… vengono rimpatriati.» E con questa chiarificazione possiamo dormire sonni sereni anche perché, se la morte ci chiamasse proprio in quel frangente, ci sarebbe Irene Nonnis a farci belli.

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