Sapevate che nell’estate del 1985, l’Isola dell’Asinara, con il suo scenario remoto e selvaggio, diventò un rifugio insolito per due dei più grandi simboli della lotta alla mafia in Italia? Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, magistrati coraggiosi e determinati, scelsero di trasferirsi lì insieme alle loro famiglie per completare il lavoro più delicato e complesso della loro carriera: l’istruttoria del Maxiprocesso. Non fu una decisione presa a cuor leggero, ma la crescente minaccia della Mafia e le preoccupazioni per la loro sicurezza resero necessario allontanarsi da Palermo, dove la situazione era ormai diventata insostenibile.
L’Asinara, con il suo isolamento e la sua natura inospitale, offriva una protezione unica, benché simbolica, da un nemico implacabile che già stava tramando contro di loro. In un’atmosfera che mescolava il silenzio della natura e il peso delle responsabilità, i due magistrati lavorarono incessantemente a quello che sarebbe stato un punto di svolta nella lotta alla criminalità organizzata. Un dettaglio che lascia riflettere sull’umiltà e sull’integrità di Falcone e Borsellino è che, nonostante si trovassero lì per ragioni legate alla sicurezza dello Stato, decisero comunque di pagare di tasca propria le spese del soggiorno. Questo gesto, che potrebbe sembrare irrilevante, è in realtà il simbolo del loro straordinario senso del dovere e della giustizia.
E mentre loro erano immersi nel lavoro, in quella che sarebbe poi stata chiamata la “foresteria della legalità”, la Mafia non stava a guardare. Già in quell’estate del 1985, stava pianificando azioni terribili contro di loro, consapevole che il Maxiprocesso avrebbe scosso le fondamenta del loro potere. Falcone e Borsellino, però, non si lasciarono mai intimidire. Il loro coraggio e la loro determinazione, anche in un momento così carico di tensione, restano un esempio straordinario di dedizione alla giustizia e al bene comune.
Falcone, sua moglie Francesca, Borsellino, la moglie e i figli e in 48 ore vennero spediti all’Asinara: in aereo fino ad Alghero, poi a Porto Torres via terra ed infine nell’isola con la motovedetta degli agenti. Per i due magistrati di punta del pool antimafia era difficile continuare a lavorare. Una situazione drammatica. I telefoni funzionavano male e i due magistrati non avevano tutti i documenti necessari per lavorare. Restarono un mese e pagarono il conto: diecimila lire al giorno per stare alla foresteria della Casa Rossa, più i pasti. Non chiesero il rimborso.
I due magistrati lavoravano nella foresteria di Cala d’Oliva, ogni tanto riuscivano ad andare in spiaggia. A portare una ventata di umorismo e spensieratezza un altro magistrato, Giuseppe Ayala, che si presentò insieme al collega Di Lello. Il ricordo di Falcone e Borsellino non è mai stato cancellato dall’Asinara.
Per anni la foto in bianco e nero dei due magistrati sorridenti è rimasta esposta nel corpo di guardia del supercarcere di Fornelli, riaperto proprio dopo le stragi del 1992. E oggi di quella permanenza rimane anche una targa.