Mani sui fianchi, la forza e il coraggio delle donne di Sardegna. Non parlano, ma le loro espressioni raccontano gioie e dolori della terra sarda, ma non solo. Ora, anche la preoccupazione di un’Europa sferzata dal vento di guerra che soffia con forza dalle parti dell’Est.
Dieci anni di “barrosette”, le “tzie” di argilla refrattaria e pirofila, che costituiscono il mondo de “su bixinau”, tra chiacchiericcio e risate tra comari. Il frutto del genio delle sorelle mogoresi Stefania e Cristina Ariu, note artigiane della ceramica e meno di una settimana fa insignite del premio Donna Sarda ’22 dal Lions Club Cagliari Lioness. “Il premio per noi è una botta di orgoglio e uno stimolo che ci spinge a continuare. Si parla ancora di noi e vogliamo che la gente continui a volerci bene”.
Una piccola bottega, una fucina d’arte nella via Costituzione di Cagliari, da lontano 7 marzo 2001 vede protagoniste le due sorelle. “Lavorare insieme? Non è certo difficile”, spiega Cristina, “dato che i nostri compiti sono divisi. Mia sorella fa progetti, io invece mi occupo di tutto ciò che riguarda social e comunicazione, tra le varie cose”.
Dalla “bonixedda” alla “curiosedda”, il vicinato argilloso delle Ariu racconta sentimenti ed emozioni di tutto ciò che accade intorno. “Oggi le barrosette raccontano la paura per questa guerra, che ci riguarda da vicini perché coinvolge persone attorno a noi”. E “t’arrori” allora sembra essere quella più adatta ai tempi che stiamo vivendo.
Un progetto che ha dato notorietà alla Stefania a Cristina Ariu, 54enne un tempo studentessa di Lettera con la passione per i viaggi. Oggi in giro per il mondo ci vanno le opere sue e della sorella. Come la produzione della linea “Pecora”, argilla rossa lavorata su strati con segni grafici, simbolo di un importante pezzo di cultura dei sardi. Una “transumanza”, quella delle pecorelle argillose, prima bianconere e poi colorate, che dal 2009, anno d’inizio della produzione, è arrivata sino a Londra e New York.
Un po’ come le “barrosette”, progetto nato nel 2012 e ora, anche grazie all’online, gira ovunque per l’Italia. 13 pose, prima bianco e nere, da 8 anni invece colorate, che rappresentano le donne dell’Isola pronte a combattere per la famiglia giorno dopo giorno. “La prima aveva il nome della nonna. Il loro nome sembra avere un’accezione negativa, ma non è così. Rappresentano il sentimento di vicinanza e sorellanza di tutto il gruppo del bixinau”. Un abbraccio che oggi servirebbe più forte che mai. “Le barrosette sono la parte femminile che si dà da fare e oggi, per il popolo ucraino, ce ne sarebbe davvero necessità costante. Noi proviamo a mettere in pratica il loro messaggio, aiutando Angelo, che davanti al nostro laboratorio ha un money transfer e ha organizzato una raccolta di medicinali e quant’altro. Ci rimbocchiamo le maniche, infondendo un po’ di positività. Proprio come farebbero le barrosette”.