Site icon cagliari.vistanet.it

Monumenti sardi: la Basilica di Saccargia, una delle chiese più belle e misteriose dell’Isola

Monumenti sardi: la Basilica di Saccargia, una delle chiese più belle e misteriose dell’Isola.

Senza dubbio si tratta della più famosa e spettacolare chiesa medievale della Sardegna: antica, maestosa, bellissima e misteriosa, difficile rimanere indifferenti davanti al fascino leggendario millenario di questo monumento.

La incontrate improvvisamente in una verde vallata, da lontano, monumentale, unica: il capolavoro dell’architettura romanica in Sardegna. Perfetta, altera ed elegante con la sua pietra bicroma, simile a diverse chiese dell’Umbria e della Toscana. La chiesa, posta su uno sperone roccioso domina la piana di Saccargia, nel territorio di Codrongianos. Il condaghe dedicato alla basilica annovera l’abbazia de sa Santissima Trinidade de Saccargia tra i possedimenti dei camaldolesi già nel 1112, tale rimase per almeno tre secoli. Il testo, redatto nel XVII secolo, racconta che Costantino I di Torres e sua moglie Marcusa, desiderosi di un erede, durante un pellegrinaggio votivo verso la basilica di San Gavino (Porto Torres), sarebbero stati ospiti dei monaci: una sacra apparizione li indusse a far erigere la chiesa. Quando nacque Gonario II, per sdebitarsi, la donarono ai camalodolesi. Nel condaghe è citata la data di consacrazione della basilica: 1116. Non la fondazione, perché il tempio non fu eretto ex novo ma sulle rovine di un santuario precedente, in più fasi. Alla chiesa, unico edificio integro dell’abbazia, erano annessi monastero e chiostro, dei quali si notano i ruderi accanto.

Da sempre l’area è considerata sacra, detta Sacraria, poi evolutosi in Saccargia. Riguardo al nome, in passato ha prevalso la leggenda che lo fa risalire a s’acca argia, ‘la vacca pezzata, maculata’, che ogni giorno si presentava davanti al monastero a offrire il latte ai frati e s’inginocchiava sul dorso, in atto di preghiera.

In seguito furono eseguiti, da architetti e maestranze di scuola pisana, lavori di ampliamento databili dal 1118 al 1120: l’allungamento dell’aula, l’innalzamento delle pareti, una nuova facciata e la costruzione dell’altissimo campanile. Il portico sulla facciata fu probabilmente aggiunto in seguito, quando la chiesa era già ultimata, ed è attribuito a maestranze lucchesi. Alla fine del XII secolo l’abside centrale fu affrescata da un ignoto artista proveniente dall’Italia centrale, e oggi quest’opera può essere considerata l’unico esempio superstite in Sardegna di pittura murale romanica in ottimo stato di conservazione.

Nel 1219 vi si celebrarono le nozze tra Adelasia di Torres ed Ubaldo Visconti.

L’impianto è a croce commissa, un’aula unica terminante con un breve transetto su cui si affacciano tre cappelle absidali.

Nella chiesa sono riconoscibili due fasi costruttive: a quella originaria risale il transetto e buona parte dell’aula coperta con tetto ligneo a capriate. I muri sono costruiti utilizzando conci in calcare bianco e basalto nero, secondo la tecnica propria delle maestranze pisane attive nel giudicato turritano alla fine dell’XI secolo. Alla seconda fase invece appartengono la soprelevazione dell’aula e il suo prolungamento verso occidente, nonché l’attuale facciata, demolita e poi parzialmente ricostruita agli inizi del Novecento dopo un restauro curato dall’architetto Dionigi Scano.

La facciata a tre ordini preceduta, dalla caratteristica bicromia a fasce di bianco calcare e nera pietra basaltica, da un basso portico, nel medesimo stile, con un tetto a capanna. La facciata, vera e propria è ornata da finte logge e trafori. Il portico è aperto da tre archi a tutto sesto sul fronte e due su ciascuno dei lati. I capitelli delle bianche colonne e dei bicromi pilastri angolari sono decorati da figure alate o mostruose. A nord-ovest si erge il campanile quadrangolare comunicante con l’interno.

L’interno della chiesa e coperto da un soffitto ligneo a capriate mentre i transetti, accessibili da ampie arcate, sono coperti da volte a crociera in nuda pietra.

Nell’abside della cappella maggiore è conservato in modo completo un ciclo di affreschi (seconda metà XII sec.), considerati i più rappresentativi tra i pochi in affreschi in stile romanico ancora osservabili in Sardegna. Le pitture occupano il catino con il Cristo in mandorla con serafini, angeli ed arcangeli, mentre il semicilindro absidale è suddiviso in tre fasce: nella prima si allineano la Madonna orante con i santi; quella mediana illustra alcune scene della vita di Cristo (Ultima Cena, Bacio di Giuda, Crocifissione, Sepoltura e Discesa agli Inferi); in quella alla base è rappresentato un finto velario. Per quanto riguarda l’attribuzione dei lavori, il Maltese ha affermato che gli affreschi sono riconducibili a una mano pisana, influenzata da modi umbro-romani, come già aveva fatto notare Pietro Toesca nel san Giovanni della Crocifissione, il cui panneggio è bicolore, quasi fosse composto da due drappi distinti. Probabilmente gli affreschi risalgono al ventennio 1180-1201, contemporanei all’ampliamento della chiesa, quando si fece evidente l’influsso architettonico pisano nella nuova facciata e nel portico antistante; importanti sono anche le connessioni con le pitture dell’ex cattedrale di San Pietro a Galtellì, probabilmente realizzate poco dopo gli affreschi di Saccargia, all’inizio del XIII secolo.

Nell’absidiola a destra è conservato anche il Retablo della Trinità del Maestro di Castelsardo.

Exit mobile version