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Cagliari, strade crudeli e troppo veloci: cosa succede in città? Apriamo gli occhi

Sono passate più di due settimane dall’incidente che ha lasciato letteralmente sotto choc Cagliari e i suoi abitanti. La vita di un bimbo di soli 14 mesi, il piccolo Daniele Ulver, è stata spezzata in un terribile sinistro stradale avvenuto in via Cadello, pieno centro abitato del capoluogo. Pochi giorni fa altre due giovani vite, quelle di due ragazze poco più che maggiorenni, sono state messe gravemente in pericolo da un altro sinistro stradale avvenuto in viale Marconi nella notte tra venerdì 11 e sabato 12 febbraio. Gaia e Giulia si trovano ora in ospedale in gravissime condizioni. La prima ha subito diverse fratture e ha rischiato l’amputazione di una gamba, la seconda è in coma nel reparto di Rianimazione del Brotzu.

Sia il piccolo Daniele e la sua mamma, sia le due ragazze 19enni sono stati investiti mentre attraversavano la strada sulle strisce pedonali. Un gesto che ognuno di noi compie quotidianamente e che – stando alle cronache delle ultime settimane – a Cagliari può costare molto caro. Ma oltre a questi due episodi drammatici i casi di investimenti pedonali (anche con conseguenze meno gravi) e gli incidenti di varia entità, sono molto numerosi nel centro abitato di Cagliari. Ultimo in ordine di tempo il sinistro mortale occorso nella notte tra sabato 12 e domenica 13 febbraio in viale Trieste che ha causato la morte di un uomo di 46 anni, Gian Michele Campodonico, la cui macchina è andata a schiantarsi contro un albero. Secondo i dati della Polizia Locale sono stati circa mille gli incidenti a Cagliari nel 2021, 7 dei quali mortali. In più di 400 casi ci sono stati feriti.

Numeri in aumento rispetto all’anno precedente e che inducono a fermarsi e a riflettere. Ma di chi è la responsabilità?

È evidente che una buona parte di questa sia da individuare nei comportamenti di chi è alla guida. Guidiamo (usiamola questa prima persona plurale, mettiamoci tutti in discussione) in modo troppo distratto, talvolta con un occhio allo schermo dello smartphone, talaltra con la mente da un’altra parte, come se condurre un’automobile non fosse un’attività in cui sia necessario utilizzare tutta la nostra concentrazione. Guidiamo sicuramente veloce, troppo veloce per il centro abitato di un’importante città europea. Si guida fin troppo spesso (non bisognerebbe farlo mai!) dopo aver bevuto un bicchiere di troppo o dopo aver consumato sostanze stupefacenti. Poi, a volte, ci si mette di mezzo il fato: la distrazione o l’imprudenza non è nostra, magari è del pedone o di un altro automobilista. Ma purtroppo gli effetti non sono molto diversi: le nostre azioni causano comunque conseguenze tragiche e drammatiche per noi e/o per gli altri.

Al netto delle cause appena elencate esistono però altre variabili che per onestà intellettuale è necessario e importante sviscerare. In che condizioni sono le strade cittadine? Qual è la loro conformazione urbanistica? Le strade tristemente protagoniste delle vicende menzionate in questo articolo hanno tra loro caratteristiche comuni: sono larghe (almeno due corsie per senso di marcia) e a scorrimento veloce. Molti, moltissimi automobilisti le percorrono a velocità che vanno ben al di sopra del limite consentito. Non capita di rado di vedere veicoli percorrere via Cadello o viale Marconi a 100 km/h (e anche di più). Più che delle strade diventano fin troppo spesso delle “piste urbane” in cui la convivenza tra automobili, pedoni e ciclisti è sempre più difficile e pericolosa, soprattutto per le ultime due categorie. A che serve? Cambierebbe qualcosa se l’automobilista perdesse 2-3 minuti in più in coda nel traffico? Chiaramente no. Cambierebbe qualcosa, invece, per un pedone, se un’automobile o uno scooter si presentassero davanti alle strisce pedonali a 30/40 km/h? Sì, cambierebbe tutto. Il tempo di frenata sarebbe irrisorio e l’eventuale investimento potrebbe essere potenzialmente molto meno pericoloso.

Ma allora, precisato che gli episodi presi in analisi non vogliono essere per forze collegati alla causa della velocità (ci penseranno i rilievi delle forze dell’ordine a chiarire la dinamica degli stessi), che ce ne facciamo di queste pericolose piste urbane? La risposta ci pare ovvia: niente.

Gli strumenti ci sono. Si chiamano: riduzione di corsie, dossi, semafori nei punti chiave, attraversamenti pedonali e/o ciclopedonali rialzati e illuminati (vedi intervento in viale Poetto), marciapiedi dove non ci sono, divieti di sosta in prossimità delle strisce pedonali, piste ciclabili confortevoli e sicure, rilevatori di velocità.

Dove non arriva la maturità e il senso di responsabilità degli automobilisti, deve arrivare la politica. È il suo compito. E allora ci auguriamo che la politica locale tragga una preziosa lezione da quanto accaduto nelle ultime settimane. Una delle urgenze principali per Cagliari è che diventi una volta per tutte una città a misura d’uomo e di pedone, cessando per sempre di essere una città a misura di automobile. Confidiamo nel buon senso e nella saggezza degli amministratori locali e facciamo presenti queste riflessioni come stimolo al progresso e al miglioramento.

 

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