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Deportata in un campo di prigionia, il ricordo della figlia Felicina

La Giornata della Memoria 2022. La pandemia non ferma i ricordi di quelle terribili persecuzioni e deportazioni di milioni di persone nei campi di concentramento. Tra questi, anche italiani e sardi. Dall’Isola i racconti di chi ha vissuto quei momenti dolore non si fermano mai e ciò che si porta dentro il proprio cuore finisce nelle mani dei figli. A loro va il compito di custodirlo e farne tesoro sempre.

Così Felicina Pontis, docente quartese di scuola superiore a Cagliari, in questa occasione non smette mai di raccontare la tragedia della mamma, deportata appena adolescente in un campo di concentramento di Rodi, sotto il tallone nazista.

Negli anni ’30, Maria Bonaria Pisu, poco più che una bambina, si trasferisce insieme a tutta la sua famiglia da Settimo San Pietro al Dodecaneso, allora italiano. “In quel periodo il regime fascista portava avanti lavori di bonifica in diversi territori. Così, un alto funzionario fascista del paese fece in modo che dalla Sardegna venissero chiamati a Rodi operai specializzati. Tra questi c’era anche Giuseppe, il padre di mia madre. Inizialmente partì solo, poi con lui tutto il resto della famiglia”.

Un viaggio lungo, in nave, verso terre lontane e perlopiù sconosciute. Poi, una giovinezza, quella di Maria Bonaria, trascorsa a stretto contatto con la cultura greca e quella ebraica. “Rodi era considerata capitale d’oriente. Gli italiani presenti lì, impiegati nella costruzione di strade, lavori di bonifica e altro, erano tanti. Leggevano giornali e riviste arrivate dalla Penisola. E con gli ebrei erano in un rapporto estremamente armonioso e fatto di stima”.

Durante il periodo rodiota, Bonaria trascorre la sua infanzia e la sua adolescenza. Frequentò una scuola italiana e in territorio greco fece pure la prima comunione ed erano tanti i sardi presenti. “Ho avuto modo di parlare con chi ha conosciuto mia madre. E la ricorda come una ragazzina riservata, timida ed educata”.

A Rodi nascono le prime amicizie per Bonaria. “Aveva una compagna di giochi ebrea, si chiamava Lucia”, racconta Felicina, “ed erano molto legate e affiatate. Lei regalò a mia madre un pendolo, che purtroppo anni dopo abbiamo dovuto dare via”.

Le cose precipitano dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Rodi cade in mano ai nazisti e l’italia da alleato diventa nemico del popolo tedesco. Iniziano così le deportazioni nei campi di sterminio per le famiglie ebree presenti sul territorio. “Di Lucia mia madre non seppe più nulla. Possiamo immaginare sia stata deportata e mia madre, addolorata, non ebbe più sue notizie”.

In seguito, i tedeschi deportano nei campi di prigionia anche gli italiani. Tra questi, per motivi politici, c’è anche la famiglia di Maria Bonaria Pisu. “Il campo si trovava a Rodi e mia madre era un’adolescente di quindici anni. Un anno terribile, sotto i nazisti, fatto di ristrettezze e brutalità. All’alba i tedeschi controllavano le baracche e chi tentava di scappare veniva ucciso davanti a tutti i presenti, come monito. Poi arrivarono gli inglesi e fu anche peggio”.

Durante la dura vita del campo, erano di certo rare le occasioni per fraternizzare con altri prigionieri. “Negli ultimi anni, nel corso delle mie ricerche, ho avuto modo di conoscere un compagno di baracca di mia madre, della quale si era forse innamorato. Non ebbero mai modo di entrare in rapporti, lei era molto timida e riservata. Quest’uomo però ricordava come la famiglia fosse unita e tra loro parlassero il sardo, di cui lui non capiva niente”.

Dopo la guerra, la fine della prigionia e il ritorno a casa. “Erano tutti sopravvissuti fortunatamente. Arrivarono in Italia nel gennaio 1946 e in seguito riuscirono a tornare in Sardegna. Avevano perso tutto e col solo vestito che portavano indosso provarono a ricostruirsi una vita”.

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