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La lettera di Matteo Porru al virus: “Cara pandemia, preparati perché abbiamo fame di vita”

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Una lettera accorata e battagliera al Sars-Cov-2, il virus che da più di un anno, nelle diverse forme e varianti, sta condizionando pesantemente la vita degli esseri umani, causando anche tanto dolore e sofferenza: questa la provocazione del giovane scrittore cagliaritano Matteo Porru.

Una lettera che vuole dare un messaggio di speranza e lanciare un monito allo stesso virus: gli esseri umani ce la faranno perché amano troppo la vita per perdere questa sfida.

Ecco la bellissima lettera di Matteo:

Lettera aperta al Sars-CoV-2. Di Matteo Porru

Ho fame, cara pandemia, e uso cara nel senso che ci sta costando sangue. Le scrive un ragazzo di quasi vent’anni che, per la seconda volta da quando Lei è entrata nelle nostre vite, torna a casa. Prima, ammesso che Le interessi, cercava di vivere la vita da universitario. Cercava di farlo con rispetto, timore, mille attenzioni e cautele. Non ho alcuna intenzione di incontrarLa ma conosco alcune persone che, ahi loro, l’hanno incrociata. Alcune Le conosce bene, le ha soffocate Lei, fino alla fine. Ma non è per questo che Le scrivo, cara pandemia.

Le scrivo perché ha vinto. Ha vinto perché è mutata, ha cambiato forma e piano d’azione, le stiamo dietro ma arranchiamo e lei è sempre un passo, solo uno, davanti a noi. Ha vinto come paura, come terrore dell’uomo di oggi, come pensiero costante, ovunque. Ha vinto quando ha devastato le nostre giornate, gli abbracci, il contatto, il calore. Ha vinto con me, che per la seconda volta mi difendo, che dentro piango, e non poco, mi creda. Ha vinto. Ma, cara pandemia, non le ho ancora detto cosa. Lei, proprio perché è mutata, per come ci ha terrorizzato, da quando ha ribaltato le vite di gente che è morta da sola, in silenzio, senza una mano da stringere o due occhi da fissare, ha vinto l’unica cosa che no, non può abbattere: la nostra fame.

Ha visto tanti uomini piangere, Lei. Ne ha visti tanti urlare. Ne ha visti tanti ansimare, cadere nel vuoto, sperare nel vano. E ha visto anche uomini affamati, solo che Lei non ci ha fatto caso mai. Glielo ricordo: un uomo che ha fame di vita, di tornare a vivere, di ricominciare, Lei non lo può controllare. Perché un uomo che ha fame si sacrifica, attende. È cauto, realista, conosce il pericolo e teme l’orrore ma lotta, resiste, combatte. Ed è così che Lei, in queste Sue maledette, fottutissime ondate, ha fatto l’errore più grande: credere che saremmo stati al suo gioco, senza condizioni; pensare che l’uomo, poverino, sarebbe andato in letargo. No, cara pandemia, non c’è andato.

Lei ci ha tolto dalla bocca la vita che volevamo, i sogni che avevamo, i progetti, i viaggi, i ricordi. Ci ha tolto la prospettiva, il sicuro. Ha strappato i piani, frantumato il domani, preso e fatto a pezzi ogni minimo senso di protezione. Ci ha tolto tutto questo dalla bocca, Lei, cara pandemia. Ma noi abbiamo fame. E quando un uomo ha una fame che dura, quando si mette a divorare lo fa con metodo, con rigore. Sa che, se mangiasse tutto subito, vomiterebbe.

Abbiamo fame, cara pandemia, e abbiamo i coltelli. Abbiamo fame, cara pandemia, e abbiamo dei sogni. Abbiamo fame, cara pandemia, e ne abbiamo tanta. Si prepari, perché è quasi finito il banchetto. Si prepari, perché fra poco mangiamo noi.

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