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L’appello: “Mia madre malata di alzheimer e ricoverata per Covid. Datele una carezza al giorno”

È una lettera struggente e piena di amore quella pubblicata sul suo profilo Facebook da una fotografa sarda, G.S. Sua madre, malata di alzheimer è stata ricoverata all’Ospedale Marino con una polmonite da Covid-19.

Ora è sola, nessuno la può visitare, e il suo nuovo male rende ancora più difficile quell’altro male, quello che colpisce tante persone anziane ogni anno nel mondo, e che la fa sentire ancora più sola, spaesata e senza punti di riferimento.

Pubblichiamo la sua lettera in cui chiede solo una cosa: che almeno una volta al giorno qualcuno le stia vicino, la accarezzi e le sussurri il nome dei suoi figli.

Ecco la lettera:

«Forse non dovrei essere io a chiedere scusa a mia madre, la cui dignità è iniziata a venir meno il giorno in cui le fu diagnosticato l’Alzheimer, 7 anni fa, quando iniziò a non riconoscersi allo specchio, a non sapere chi fossero i suoi figli, ma lo faccio al posto di chi questa sensibilità fino ad oggi non l’ha avuta.

Comincio a chiederle scusa da allora perché spesso abbiamo incontrato persone che la osservavano con un misto di pietà e commiserazione, dottori che la imbottivano di medicinali andando a tentoni, borbottando “proviamo…”, o l’indifferenza di tutte quelle persone che in questi lunghi anni avrebbero dovuto stare al suo fianco.
Le chiedo scusa per questa poca delicatezza e umanità conosciuta allora e le chiedo scusa oggi che è attualmente ricoverata, dove sta vedendo ancora una volta schiacciata la sua dignità.

Una settimana fa è stata trasportata dalla struttura presso cui risiedeva, al Pronto Soccorso del Santissima Trinità di Cagliari, per curare una polmonite da covid. Le hanno subito fatto una flebo perché disidratata e per un’intera giornata è stata alimentata così perché non erano provvisti di gel addensante alimentare.

La cura per la polmonite si rivela efficace, quindi il giorno dopo viene subito trasferita all’Ospedale Marino dove mia madre è arrivata vigile. Due giorni dopo non si sveglia e iniziano ad alimentarla con il sondino naso gastrico.
Forse sarà più semplice e sbrigativo infilarle un sondino piuttosto che cercare di svegliarla e stimolarla in qualche modo? Purtroppo non c’è il tempo, il personale è quello che è e la situazione negli ospedali è disastrosa.

Eppure mia madre reagisce solo se stimolata, mia madre abbozza un sorriso sentendo la voce dei suoi figli ma dubito che qualcuno riesca a dedicarle un po’ di tempo, chiamandola per nome o accarezzandola. A questo si aggiunge la situazione surreale della scarsa comunicazione ospedale-famiglia. La telefonata della dottoressa: “Sua madre è molto grave”. Da allora quasi 3 giorni di silenzio. Tanti squilli a vuoto, nessuna risposta, nessuna notizia.

Con la determinazione che solo una figlia può avere, parto da Nuoro verso Cagliari, decisa una volta arrivata lì che mi sarei appellata anche alle forze dell’ordine se non mi avessero dato informazioni. Tengo a precisare che le informazioni nel frattempo le abbiamo avute tramite conoscenti, persone che conoscono altre persone che lavorano lì ecc e mi chiedo :”É mai possibile tutto questo?” Riesco a parlare con una guardia giurata, mi fa avere dei numeri( a cui ovviamente nessuno risponde) ma contemporaneamente arriva la telefonata di mia sorella che mi spiega di essere finalmente riuscita a parlare con la dottoressa, la quale si scusa dicendole che sono oberati di lavoro e che non riescono a rispondere al telefono promettendo però che ci avrebbero informato più spesso.

Una situazione surreale, disumana. Mia madre non parla, è allettata, è in pratica in uno stato vegetativo e la sua situazione è precipitata in una settimana. Pare sia dovuto all’ospedalizzazione, al progredire della sua malattia, e di questo ne son certa, ma chissà se la situazione sarebbe potuta andare diversamente. Il dubbio mi logora.

Io non vedo mia madre da agosto, non la accarezzo e non poggio la mia testa tra le sue gambe da febbraio dell’anno scorso. Un anno che non sento il suo profumo se non quello dei suoi vestiti nell’armadio di casa. Ora io mi voglio appellare alla sensibilità della gente, chiedo all’amico dell’amico di…al fratello di…, all’infermiere che ha un collega che lavora all’ospedale Marino e così via, di aiutare me, mie sorelle e mio fratello, a trovare qualcuno (infermieri del reparto C covid, oss ) che si avvicini a mia madre 1 volta al giorno e che la accarezzi e le sussurri il nome dei suoi figli. Chiedo 5 minuti, il tempo che in teoria dovrebbero impiegare nel lavarla e cambiarla.

Chiedo di parlarle. Parlarle con il cuore. Parlarle da figlia, perché sarà anche vero che mia madre in questo momento, in quell’ospedale, per quei dottori e infermieri, è un numero, ma è mia madre e non riuscendo lei a farlo, mi espongo io con tutte le energie che mi son rimaste, usando la mia voce per riuscire a darle quella dignità calpestata così tante volte».

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