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Dopo la Sartiglia, i Fuochi di Sant’Antonio: la pandemia ferma le tradizioni nell’Isola

A Paulilatino sono i ragazzi de “Sa Leva Noa”, cioè quelli che compiono nell’anno i 18 anni come vuole la tradizione che preparano Is Tuvas.

Mancano ancora più di due mesi a Sa Festa de Su Fogu, ma la tradizione vuole che sa tuva si prepari con largo anticipo. Sa festa de Su fogu è una festa sarda in onore di Sant’Antonio Abate che unisce devozione cristiana e riti pagani. Si svolge in molti paesi della Sardegna con caratteristiche diverse a seconda delle località. L’usanza vuole che si accendano dei grandi falò, nella notte tra il 16 e il 17 gennaio ma in alcuni paesi, come Paulilatino, alcuni mesi prima sono i ragazzi de sa leva noa, cioè i diciottenni che hanno l’incarico di cercare tagliare e trasportare is tuvas all’ingresso del paese dove vengono lasciate fino al giorno della festa.

I ragazzi perpetuano la tradizione, nonostante il servizio di leva obbligatoria ormai non esista più da 12 anni.  Sa tuva è un grande tronco d’albero cavo, di solito una quercia secolare o un olivastro, che viene divelto a colpi d’ascia. In realtà la ricerca di una vera tuva, cioè un albero reso cavo perché colpito da un fulmine, si rivela spesso infruttuosa, alla fine può capitare che vengano sacrificati alberi ancora perfettamente sani. Tuttavia celebrare Sant’Antonio è una tradizione antica che i principi ecologisti non possono fermare.

Fogu fogu po su logu, linna linna po sa Sardigna, era l’invocazione che ripetevano i bambini rivolti al Santo. La leggenda racconta che fu proprio Sant’Antonio a rubare il fuoco, che i diavoli custodivano all’inferno, per donarlo agli uomini. Il Santo col suo bastone di ferula scese all’inferno e approfittando di un momento di distrazione dei diavoli, nascose qualche tizzone ardente all’interno del suo bastone. Infatti il fusto essiccato della ferula se posto sul fuoco annerisce, ma non prende fuoco. Una volta tornato sulla terra Sant’Antonio donò il fuoco agli uomini. Un’altra versione della leggenda vuole che il Santo portasse con se un maialino con il quale creò scompiglio all’inferno per distrarre i diavoli e compiere il furto.

Pare che la presenza del maialino nella leggenda sia stata un’aggiunta successiva, voluta dalla chiesa per rendere il Santo più gradito ai contadini sardi, affinché il rito perdesse la sua connotazione pagana. Essendo il fuoco da sempre nell’Isola un temuto nemico, soprattutto i contadini facevano fatica a esprimere devozione per Sant’Antonio, ma col tempo impararono ad amarlo e la devozione crebbe anche nel mondo agropastorale. Is tuvas una volta riempite le cavità con rami d’alloro, prima di essere incendiate nel piazzale della chiesa, vengono sempre benedette dal sacerdote. Nonostante ormai il rito sia di natura religiosa, rimangono alcune abitudini pagane, come quella di leggere il futuro interpretando le volute di fumo che si levano dal falò, conservare un tizzone spento come porta fortuna o sporcarsi le dita con la cenere e accarezzare il viso dei bambini come augurio di buona salute. Nei paesi in cui la tradizione vuole che sia sa Leva Noa a occuparsi de sa tuva, i diciottenni festeggiano tutta la notte quella che un tempo era la partenza per il servizio militare, con goliardate come riempire le strade del paese di scritte con le quali si prendono di mira più o meno velatamente compaesani, si fanno sfottò di stampo calcistico e qualcuno più romantico scrive una dedica alla fidanzata, pur non essendo prossimo alla partenza per la naia. (Dalila)

  

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