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“Si calincunu perdit unu fillu, de siguru ddu agatat in Carbonia”: quando e perché si diceva così?

Carbonia in una veduta panoramica degli anni '50 e una storica immagina dei minatori di Federico Patellani

Carbonia in una veduta panoramica degli anni '50 e una storica immagina dei minatori di Federico Patellani

La demografia della Sardegna non è sempre stata così come la conosciamo oggigiorno con Cagliari centro più popoloso, seguita da Sassari, Quartu Sant’Elena, Olbia e Alghero.

I mutamenti economici e sociali dell’Isola hanno portato la popolazione sarda a spostarsi all’interno del proprio territorio, cercando da sud a nord le condizioni migliori in cui vivere e metter su famiglia.

A partire dagli anni ’30 si registrò in Sardegna un fenomeno migratorio di grande rilievo verso una città che prima non esisteva: Carbonia. Questa cittadina, ancora oggi centro più popoloso del Sulcis e in generale della Sardegna sudoccidentale, fu fondata dal regime fascista per stimolare lo sviluppo dell’industria di estrazione del carbone, materia prima allora assai preziosa e che abbondava in questa zona.

Fu così che in pochi decenni il centro minerario del Sulcis divenne il terzo centro più popoloso dell’Isola dietro le “capitali” storiche Cagliari e Sassari. In città arrivarono da ogni parte dell’Isola in cerca di un lavoro stabile e di un futuro. Si stima poi che circa 1/4 del primo nucleo insediatosi nella nuova città abitata da 12mila persone provenisse addirittura dalla Penisola: Veneto, Abruzzi, Sicilia e Marche soprattutto. Nel 1951 Carbonia raggiunse i 45mila abitanti, con circa 60mila domiciliati.

Un tasso di immigrazione altissimo che tra le altre cose fu “notato” dalle dicerie popolari. Ecco perché nell’epoca di massima espansione dell’industria carbonifera della zona, in Sardegna si diceva che “Si calincunu perdit unu fillu, de siguru ddu agatat in Carbonia”, ovvero “Se qualcuno perde un figlio, di sicuro lo trova a Carbonia”.

 

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