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Folklore e leggende: i tre fratelli che scamparono all’Inquisizione grazie alle fate

Un giorno, racconta la leggenda, tre fratelli poverissimi dopo una dura giornata di lavoro in campagna decisero di riposarsi in una grotta nel monte chiamato Pala Perdixi, nel territorio di Nurri. I tre fratelli si volevano bene ed erano persone oneste e infaticabili lavoratori, quella sera mentre consumavano il loro semplice pasto ricevettero una visita.

Tre donne intimidite si fermarono davanti all’ingresso, i giovani benché disponessero di pochissimo invitarono cordialmente le donne ad accomodarsi e a dividere quel poco con loro. Le donne che in realtà erano fate, decisero di premiare l’onestà e la generosità dei tre fratelli.

Così la prima estrasse dalla tasca una tovaglia magica: «Ti dono questa tovaglia – disse la fata al primo dei tre fratelli – tutte le volte che tu o i tuoi fratelli volete mangiare non dovete fare altro che sbatterla tre volte e stenderla, apparirà una tavola imbandita».

La seconda fata invece diede al secondo fratello un portafogli pieno di denaro dicendogli: «Tutte le volte che lo vuoterai si riempirà nuovamente». La terza infine rivolgendosi al più giovane dei tre affermò: «Ti dono questo strumento musicale – disse la fata porgendogli le launeddas- quando lo suonerai nessuno potrà resisterti».

I tre ragazzi, persone di buon cuore da quel giorno con grande generosità condividevano il cibo e il denaro fatato senza preoccuparsi troppo di nascondere la provenienza di tanta abbondanza, finché un prete non si accorse che tutto quel ben di Dio aveva un origine magica. In quell’epoca, in cui vigeva l’Inquisizione qualsiasi cosa che avesse anche solo lontanamente sentore di stregoneria o magia veniva severamente punita, le persone sospettate di praticarla condannate alla tortura e spesso anche alla morte.

Così quel sacerdote intimò ai tre fratelli di consegnargli gli oggetti stregati, per tutta risposta il più giovane cominciò a suonare le launeddas fatate e il sacerdote non poté resistere cominciò a ballare in maniera buffa, per strada davanti a tutti. Le persone lo deridevano e i tre ragazzi se la ridevano, ma non appena il giovane finì di suonare il sacerdote li fece arrestare.

Ben presto furono processati e condannati a morte. Poco prima di salire sul patibolo però i tre chiesero un desiderio ciascuno, e la legge voleva che l’ultimo desiderio, a parte la grazia, venisse sempre assecondato. Così il primo dei tre fratelli chiese di poter usare un’ultima volta la sua tovaglia, offrì da bere e mangiare a tutti i presenti che per la verità erano davvero tanti.

Ma il cibo e soprattutto il vino erano abbondantissimi così anche le guardie e il boia ne approfittarono. Il secondo fratello chiese di poter riavere il suo portafogli per l’ultima volta e appena lo ottenne comincio a regale denaro alle persone presenti, incluse le guardie che cominciarono a vedere di buon occhio i tre condannati.

Infine il più giovane chiese di poter suonare un’ultima volta le launeddas. E fu accontentato. Ma la folla era sazia e alticcia per il vino, ed euforica per il denaro, così fin dalle prime note comincia a ballare e dimenarsi e più il giovane aumentava il ritmo della musica più la gente si agitava, incluse naturalmente le guardie. Approfittando della grandissima confusione i tre riuscirono a scappare e non si fecero più trovare. Da quel momento impararono a utilizzare i portentosi doni delle fate con discrezione.

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