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Rientro a scuola a settembre, insegnanti, genitori e alunni: “Non sarà più come prima”

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Dopo tante incertezze, alla fine la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha deciso: si torna a scuola a settembre, seppur con regole ferree per garantire la sicurezza di tutti. Insegnanti, alunni e genitori vogliono però più chiarezza su quale dovrà essere il futuro della scuola e come ci si dovrà comportare.

Secondo Alessia Cesare Tulifero, insegnante di sostegno in una scuola di San Gavino, «è molto sconfortante perché temo che quello che accadrà o che si progetterà, sarà molto diverso da quello che vorrei, ossia un investimento massiccio per potenziare il personale, migliorare le strutture, utilizzare altri spazi e rendere tutta l’attività scolastica in presenza, in totale sicurezza, fornendo i dispositivi di protezione individuali necessari. A mio avviso bisognerebbe lasciar perdere la didattica a distanza in tutti gli ordini di scuola. Immagino che verrà proposto un progetto a costo zero, che permetterà di non spendere un soldo in modo da poter essere smantellato senza costi il giorno prima dell’apertura della scuola, nel caso non fosse più necessario se l’emergenza fosse rientrata». Per quanto riguarda la didattica a distanza, la docente ritiene che sia andata bene come strumento per gestire l’emergenza: «Organizzata dall’oggi al domani, ha comunque cercato di garantire una certa continuità tra gli studenti e la scuola, alcune volte tra gli studenti e il mondo. Ha avuto i suoi pregi ma ha anche fatto il suo tempo, e nella sua applicazione sono emersi innumerevoli problemi che a mio avviso non ne dovrebbero permettere l’applicazione in futuro, soprattutto con la possibilità di pianificare altro. Come insegnante di sostegno nelle scuole superiori e  madre di una bambina alla scuola primaria penso che in termini di inclusione la didattica a distanza sia stata fallimentare, non solo nei confronti degli studenti disabili (ai quali per ovvi motivi è mancato il rapporto diretto con l’insegnante) ma anche di chiunque non avesse possibilità economiche, culturali, familiari, eccetera. Alla primaria l’assenza di contatto ha snaturato l’essenza stessa della scuola di quel ciclo; la didattica a distanza per i bambini è una specie di “homeschooling” che presuppone la costante presenza di un genitore e che delega alla famiglia tutta la responsabilità della formazione».

Per Gabriella Tarca, che insegna italiano e latino al Liceo Classico, Linguistico e delle Scienze umane “B.R. Motzo” di Quartu, per l’imminente riapertura delle scuole «è difficile prefigurarsi scenari certi. Quello che, credo tutti, auspichiamo è un ritorno il più possibile simile alla normalità, in cui i ragazzi possano rientrare in classe in sicurezza. Dipenderà, ovviamente, dalla situazione epidemiologica. Il buon senso vorrebbe che un rientro in sicurezza si costruisca già da oggi. Rientrare prima di settembre credo sarebbe stato rischioso. Quando si parla di riapertura si deve considerare anche il movimento di un ingente numero di ragazzi che prendono l’autobus e di moltissime famiglie che si mettono in moto per accompagnare i figli. La scuola, inoltre, è il luogo d’incontro per eccellenza. I ragazzi non solo stanno insieme in classe, ma usano gli stessi bagni, si incrociano negli stessi atri, fanno ricreazione negli stessi luoghi. Stiamo parlando di edifici che ospitano anche mille alunni. È vero che i giovani possono  infettarsi e non ammalarsi, ma poi rientrano in famiglia e mettono a rischio i genitori, i nonni, magari un familiare immunodepresso. Sento dire da più parti che il rientro a scuola degli studenti”serva alle madri lavoratrici”. La scuola è luogo di formazione, agenzia di educazione, offre ineguagliabili opportunità di confronto e crescita. Il fatto che i figli siano a scuola quando i genitori lavorano è una coincidenza di orari e neanche sempre realizzabile, se si pensa ai turnisti, per esempio, perciò, sebbene mi renda conto dell’utilità della scuola anche da quel punto di vista, eviterei di farla apparire  “il luogo dove si lasciano i figli per andare a lavorare”, perché questo  sminuisce e snatura la percezione della sua vera funzione. Penso anche che affermare che se i bambini non possono andare a scuola si ostacola il lavoro femminile , equivale ad alimentare il sessismo. I figli non sono un “problema” delle mamme, ma di entrambi i genitori lavoratori, perciò sarebbe un bel segno ascoltare argomentazioni più moderne».

Marina L., studentessa al quarto anno del Liceo scientifico Pacinotti di Cagliari, è ansiosa di tornare a scuola ma allo stesso tempo teme non sarà più nulla come prima: «Ci siamo abituati, anche se per pochi mesi, a fare lezioni online e molti hanno perso la socialità che avevano prima. Non vedo l’ora di tornare in classe e vedere i miei compagni, ma ho paura anche che tra di noi avremo diffidenza, avremo paura di contagiarci, è una reazione psicologica dovuta all’abitudine al distanziamento sociale», osserva. Sulla stessa linea Francesca e Paolo, giovani genitori di una bambina di nove anni: «Non sappiamo come reagirà al ritorno in classe. Sembra non aspetti altro, ma poi pare sia tesa. Per questo la didattica a distanza è stato un errore, ok la sicurezza, ma avrebbero potuto aprire già il mese scorso. Spero che la socialità che si è persa questi mesi torni come prima».

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