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I 50 anni dello scudetto del Cagliari, i cavalieri che fecero l’impresa: Manlio Scopigno

Sigaretta e whisky. Ironia e determinazione. Chiamato il filosofo, perché tra un tiro a pallone e un altro trovò il tempo di iscriversi a La Sapienza a Roma in pedagogia. Era una mosca bianca nel mondo del calcio. Manlio Scopigno è stato il padre del Cagliari dello scudetto.

Un padre severo ma buono per tutti i ragazzi che ha allenato.  Viene ricordato come l’allenatore friulano, ma di friulano non aveva nulla, se non il luogo di nascita: Paularo, alta Carnia, 20 novembre 1925.

Il padre, guardia forestale, prestava servizio lì, ma le sue radici erano in Umbria e, infatti, fu trasferito a Rieti. Lì Scopigno inizia a giocare a pallone, in C e in B, poi passa alla Salernitana e infine, fortemente voluto da Monzeglio, al Napoli in A.

«Le squadre ai quei tempi erano una via di mezzo tra il collegio e la caserma. Scopigno ci ha dato tanta libertà, ma ci ha anche insegnato ad essere responsabili. Avevamo la sua fiducia, ma se l’avessimo tradita sarebbero stati guai, era finita e nel campionato successivo non saresti stato più allenato da lui.  Amava scherzare, ma era anche un’ottima spalla. Il primo anno, mi vide col muso in aeroporto e mi disse: se hai bisogno, io ci sono. Come lui, mai trovato nessuno», ricorda Rombo di Tuono.

Arriva a Cagliari, dopo l’esonero dal Bologna e dopo la partenza di Silvestri al Milan, nel 1966, fortemente voluto da Andrea Arrica che aveva apprezzato il gioco del Vicenza. Con la squadra sarda, Scopigno il primo anno conquista il sesto posto in campionato.

Nell’estate 1967 Scopigno guidò i sardi che parteciparono al campionato negli Stati Uniti, organizzato dalla United Soccer Association per rappresentare il Chicago Mustangs.  Scopigno ed i suoi chiusero al terzo posto nella Western Division, con 3 vittorie, 7 pareggi e 2 sconfitte, non qualificandosi però per la finale.

«Scopigno era arrivato da poco. Eravamo in ritiro per una partita di Coppa Italia e in sette o otto, in barba alle regole, ci eravamo dati appuntamento in una camera per giocare a poker. Fumavamo tutti e giocavamo a carte sui letti. C’era anche qualche bottiglia che non ci doveva essere. Ad un tratto si apre la porta: è Scopigno. Oddio, penso, ora ci ammazza, se ci va bene ci leva la pelle e ci fa appioppare una multa! Scopigno entrò, nel fumo e nel silenzio di noialtri che aspettavamo la bufera, prese una sedia, si sedette vicino a noi e disse tirando fuori un pacchetto di sigarette “Do fastidio se fumo?” In mezz’ora eravamo tutti a letto ed il giorno dopo vincemmo 3-0.», ha raccontato qualche anno dopo Pierluigi Cera.

Durante un ricevimento presso l’ambasciata italiana a Washington fu sorpreso ad urinare nel cortile, l’episodio portò con sé una scia di polemiche che avrebbero causato l’allontanamento dalla guida del Cagliari per la stagione successiva.  Scopigno passa quindi la stagione 1967-1968 ufficialmente da disoccupato, ma torna alla guida Cagliari per il campionato 1968- 1969, conquistando un meraviglioso secondo posto. Nella stagione successiva, arriva il capolavoro della sua carriera, nonostante per metà girone di ritorno fosse squalificato il suo Cagliari diventa campione d’Italia.

«Aveva ben intuito quale fosse il clima. Aveva una gran capacità di gestione, era certo che i ritiri molto lunghi non fossero proprio positivi e rischiavano di frammentare la squadra. Grande tattico, poche parole ma chiare, aveva un’umanità pazzesca. Era stato bravo a far calare la tensione, che pure era tanta perché sapevamo di rappresentare tutta l’isola», ricorda, invece, Beppe Tomasini.

Dopo aver portato al vertice del campionato Italiano, resta in Sardegna altri due anni. Dopo una breve sosta a Roma, dove non regge la pressione della piazza, finisce la sua carriera come allenatore nel Vicenza, che abbandona a stagione in corso a causa di una malattia che lo costringe a letto. Morirà a Rieti nel 1993.

«Sapere che a distanza di 50 anni, Manlio sia ancora ricordato con tanta stima, considerazione e affetto, non solo mi inorgoglisce, ma mi commuove. Tante persone in Sardegna mi ringraziamo per quello che realizzò con quella grande squadra. Ma sono io invece che ringrazio la Sardegna per aver permesso a mio marito di esprimersi al meglio e in maniera costruttiva in quella che non era solo la sua professione ma una grande passione», ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport la moglie Angela.

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