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Didattica a distanza, i docenti cagliaritani: «Noi a scuola insegniamo soprattutto a vivere e a socializzare»

didattica a distanza scuola

foto Orizzontescuola

Il Covid-19 ha rivoluzionato anche il mondo della scuola. Nell’era digitale non ci si sarebbe tuttavia aspettati di vedere i nostri docenti e i nostri alunni alle prese con le lezioni online. La didattica a distanza, misura alternativa alle lezioni in classe decisa dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, non ha proprio convinto i diretti interessati.

«L’unico vantaggio, a mio parere, è quello di aver sopperito alla mancanza di competenze informatiche di docenti e di tanti bambini – osserva Stefania Corona, insegnante di inglese alla scuola Riva di piazza Garibaldi – Ora le hanno acquisite. Per il resto, gli svantaggi sono stati tantissimi. Ci sono molti bambini che non hanno una connessione internet, o che ce l’hanno ma è lenta, si interrompe o terminano i giga per poter continuare la lezione. Di per sé l’intenzione della didattica a distanza era bellissima, ma non ha funzionato – dice la docente, che insegna a bambini dalla prima alla quinta primaria – C’erano tanti insegnanti che all’inizio non erano preparati a livello informatico. Ci siamo ritrovati a dover affrontare una sfida più grande di noi, con un sovraccarico di lavoro immane. Tra i miei alunni ho visto sentimenti contrastanti, molti erano depressi e soffrivano di solitudine, tutti non vedono l’ora di tornare in aula, anche quelli che prima di tutto questo non venivano volentieri. Noi insegniamo a vivere e a socializzare, invece stavolta abbiamo solo riempito di contenuti la testa dei nostri studenti. Penso che avremmo dovuto adottare il modello svedese, basato sulla didattica svolta in presenza ma in luoghi all’aperto come i parchi, a gruppi di dieci alunni per volta e con tutte le misure di sicurezza del caso».

Secondo Elisabetta Siddi, insegnante di fisica all’Istituto “Michele Giua” di Cagliari, «senza la didattica a distanza non avremmo potuto continuare l’attività didattica e mantenere un rapporto con i nostri alunni. Dall’altro lato, però, la scuola non era pronta ad affrontare una situazione simile dal punto di vista delle infrastrutture, dei device e  della formazione del personale, al contrario di altre scuole europee. Può essere anche come un’opportunità perché finalmente qualcosa possa cambiare. Tuttavia non è inclusiva e accentua le differenze socio-economico-culturali dei ragazzi. Chi era già ben organizzato da prima ha continuato a esserlo, talvolta in misura perfino maggiore; chi invece arrancava ha avuto maggiori difficoltà. I ragazzi con disturbi dell’apprendimento hanno mostrato diversi problemi; coinvolgerli è stato davvero complicato, a volte perfino impossibile. La connessione non è stabile e veloce ovunque, chi vive in zone periferiche o di campagna ha avuto parecchie difficoltà. Abbiamo scoperto che molte famiglie ritengono notebook e tablet superflui, per cui diversi studenti (prima che la scuola riuscisse a fornire loro dei device in comodato d’uso) lavoravano esclusivamente da smartphone, con tutte le difficoltà che si possono immaginare. È emerso inoltre un analfabetismo informatico impressionante. Genitori e ragazzi tipicamente sono in grado di usare uno smartphone cliccando sulle app, ma quando gli è stato chiesto qualcosa di più “avanzato” (come trasformare delle foto in Pdf e caricarle in una piattaforma didattica o mandarle via email) ci siamo scontrati per diverse settimane con notevoli difficoltà, le comunicazioni per loro avvengono tipicamente mediante What’s app o social, l’email è un qualcosa che usano solo per iscriversi ad esempio a Instagram. Nel contesto in cui ci siamo trovati da marzo non credo che sarebbe stato possibile fare diversamente, ricordando sempre che la didattica a distanza non è sostitutiva di quella in presenza, ma è di supporto».

Sui vantaggi Gabriella Deiana, professoressa di matematica  all’Istituto di istruzione superiore “Luigi Einaudi” di Senorbì, concorda con Elisabetta Siddi: «Non si è interrotta l’istruzione in un momento così difficile. Inoltre i docenti si sono confrontati con nuove forme di comunicazione e risorse digitali che per alcuni erano sconosciute. Gli svantaggi si amplificano a seconda del contesto: in primo luogo il digital device presente sul territorio, banalmente le infrastrutture di rete presenti in città non sono le stesse presenti nei piccoli paesi dell’interno e da qui le problematiche legate al segnale, al consumo dei giga. Le scuole si sono attrezzate per dare in comodato d’uso tablet, pc, schede, eccetera, ma certi problemi strutturali non sono di loro competenza e permangono. Se una famiglia è in difficoltà non riesce ad affiancare il proprio figlio sulla didattica a distanza: se l’aula scolastica era il luogo per eccellenza dove si cercava di abbattere qualunque differenza sociale, l’aula virtuale sembra amplificarla se non si apportano gli opportuni accorgimenti».

Neanche per i genitori è stato facile. Mario Cabras, padre di Chiara, una bambina di 8 anni che frequenta il terzo anno di una primaria di Selargius, all’inizio si è trovato spaesato: «Ci siamo trovati impreparati, io personalmente non sapevo come aiutare mia figlia a gestire questa novità. Gli insegnanti sono stati fantastici, ma anche loro erano spaesati inizialmente. La cosa più difficile però è stata vedere Chiara triste per non poter incontrare i suoi compagnetti e dover fare tutto da un computer». Stessa sensazione provata anche da Valentina, mamma di Marco, un bimbo di 10 anni: «Lui è abituato a usare il tablet per giocare ai suoi giochi preferiti, ha dovuto cambiare improvvisamente abitudini. Io e mio marito siamo dovuti stargli dietro quasi tutto il giorno, era ansioso e poi la connessione ogni tanto andava via. Non ne possiamo più, ma per fortuna tutto questo finirà a settembre, quando i nostri figli potranno finalmente tornare a scuola. Almeno spero».

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