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I 50 anni dello scudetto del Cagliari, i cavalieri che fecero l’impresa: Angelo Domenghini

Cresciuto nella squadra del suo paese, Lallio, in provincia di Bergamo, prima di approdare a Cagliari nel 1970, Angelo Domenghini, attaccante, giocò nell’Atalanta e nell’Inter.

«Con l’Inter avevo vinto tutto, ma sollevare lo scudetto a Cagliari ha un altro sapore. – racconta dalla sua città natale Domenghini – C’erano entusiasmo e grinta, a metà campionato abbiamo capito che quello sarebbe stato l’anno giusto. Il Cagliari di quegli anni era una squadra affiatata e competitiva, si giocava davvero un buon calcio. Lo scudetto non lo hanno vinto sono l’allenatore, i ragazzi in campo, ma tutto lo staff e tutta la Sardegna, per questo ha un sapore diverso».

In realtà Angelo Domenighini, come altri suoi compagni non era entusiasta di venire in Sardegna.

«Dopo gli allenamenti con l’Inter potevo tornare a casa, oltretutto ci allenavamo solo la mattina e il pomeriggio si dormiva. La Sardegna era un’Isola lontana. Ho provato a lamentarmi con il presidente dell’Inter ma mio malgrado ho dovuto accettare. Sono venuto perché dovevo, non perché volessi, giocavo in una grande squadra del nord, venire al Cagliar mi sembrava di fare passi indietro per la mia carriera».

Ma Cagliari si sa, ha la capacità di farti innamorare e nonostante la titubanza iniziale così è stato anche per Domenghini, che con i rossoblù ha vissuto sia l’eroica impresa sia il declino degli anni successivi.

«A Cagliari mi sono trovato benissimo, eravamo compagni di squadra e amici guidati da un ottimo allenatore: Scopigno.  Potevamo passeggiare per le vie della città, interagire con i tifosi sempre molto rispettosi e arrivare in un attimo al mare. La città è cambiata, è cresciuta, ma è sempre molto affascinante. Ci sarei dovuto tornare per la festa del cinquantesimo, il coronavirus ha rivoluzionato il mondo, ma io spero la festa sia solo rimandata».

Dopo l’esperienza come calciatore nella squadra rossoblù passa prima alla Roma e poi al Verona, dove conclude la carriera nel 1979.  Nel suo bagaglio conserva tre scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa Italia, due Intercontinentali ed un Campionato Europeo. Conta 33 presenze e 7 gol con la maglia azzurra: debuttò il 10 novembre 1963 contro l’Unione sovietica. Nella finale dell’Europeo del 1968 pareggiò la rete della Jugoslavia, permettendo all’Italia di conquistare il titolo continentale nel replay.  Ai Mondiali realizzò il gol con cui gli Azzurri s’imposero sulla Svezia, ma il torneo venne vinto dal Brasile e l’Italia dovette accontentarsi del secondo posto.

Appese le scarpette al chiodo ha intrapreso la carriera di allenatore, tra le altre squadre, allenò anche la Torres nella stagione 1983-84. Sempre grande appassionato di calcio, segue tutto il campionato di Serie A.

«Il Cagliari ha avuto paura, è partito benissimo con grinta ed entusiasmo, c’era l’Europa in ballo. Se i giocatori scendono in campo preoccupati non possono ottenere buoni risultati, la tranquillità è un fattore fondamentale. Forse avevano creato troppe aspettative, sono stati investiti di troppe responsabilità. Hanno iniziato ad avere tutti contro e questo ha contribuito al calo. Ma se il campionato riprenderà può dare ancora tante soddisfazioni. Credo che oggi non esista un attaccante con le mie stesse caratteristiche, il calcio è cambiato. Forse in tempi recenti quello che più mi somiglia è Andrea Conti, ma il Conti dell’Atalanta, perché arrivato al Milan si è un po’ perso e non so perché».

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