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L’intervista. Essere commessi al tempo del Coronavirus: gli eroi alternativi senza smart working

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Grazie a loro la vita apparentemente quotidiana, sul fronte cibo e beni di prima necessità, può continuare senza problemi né preoccupazioni. Senza di loro non sarebbe possibile mantenere uno dei lussi domestici che, in questo periodo d’emergenza a causa del Covid-19, ci rimangono: il poter continuare a cucinare e a nutrirci come se, in apparenza (per il nostro stomaco almeno), niente fosse cambiato.

Sono loro, l’esercito dei commessi dei supermercati: tra quelle fasce di lavoratori che, non potendosi permettere lo smart working, continuano il loro lavoro quotidiano, esposti, ora più che mai alle tante follie dei clienti e anche al rischio di un eventuale contagio. M., 40 anni, commessa cagliaritana della grande distribuzione, ci ha raccontato come si svolge, ora, il suo mestiere, tra qualche avvenimento comico alternato a momenti di maleducazione da parte della clientela.

«La cosa che mi ha sconvolto di più, in questo periodo, è il menefreghismo della gente, ci racconta. Davvero non me lo aspettavo, nonostante in 15 anni abbia assistito alle cose più assurde da parte dei clienti, ma sinceramente in una situazione seria come questa speravo manifestassero un po’ di buon senso». Ma neanche la pandemia è riuscita a riportare un po’ di sale in zucca là dove mancava: persone senza mascherina o guanti, altri che starnutiscono ben poco elegantemente e, nonostante ciò, senza alcuna protezione, continuano a spingere il carrello con la mano in cui hanno starnutito («sempre che la si sia usata la mano»).

«Una delle cose che tengo a raccontare sono i tentativi maldestri di imbroglio per gli ingressi: marito e moglie fanno finta di non conoscersi quando sono in fila per entrare. Poi si riuniscono dentro per fare la spesa insieme, come se il dispetto lo facessero a noi e come se noi non ce ne accorgessimo. Ci propongono anche di fare due scontrini, come se la questione potesse cambiare. Una volta che ho fatto presente ad una coppia che poteva entrare un solo membro per nucleo familiare, mi son sentita rispondere: “Ah no ma noi non siamo sposati, conviviamo e basta!” E questo la dice lunga su cosa la gente abbia capito dei vari divieti. Sembra che l’obiettivo principale sia “farla ai commessi del supermercato” e non muoversi di casa il meno possibile».

Ma una delle cose che fanno preoccupare di più M. e moltissimi suoi colleghi, è la paura del contagio: in un ambiente chiuso, frequentato ogni giorno da tantissime persone, molte delle quali noncuranti delle prescrizioni da mantenere, non ci si può sentire al sicuro: «Mi sconvolge dover ricordare in continuazione alle persone che per prendere frutta e verdura si devono indossare i guanti monouso, accadeva già prima, ma ora è ancora più assurdo. Quindi sì, posso dire che non mi sento affatto sicura, per quanto io faccia di tutto per salvaguardarmi. A casa ho un bimbo di tre anni, che quando rientro vorrebbe abbracciarmi, e invece lo devo respingere, entro in casa come se stessi tornando da una centrale nucleare. Se tutti usassero guanti e mascherina (o qualcosa per coprirsi naso e bocca) mi sentirei decisamente più tranquilla».

Ma ecco cosa comprano e cosa cercano di più i cagliaritani tra i banchi del market: «Per quanto riguarda gli acquisti più comuni, ci sono ovviamente lievito di birra (ormai introvabile) alcool, amuchina. Farina e uova la sera non ne rimangono. Poi scatolame, alimenti che durano. Apprezzo quelli che vengono e caricano il carrello con 200 euro di spesa, vuol dire che hanno capito. Infatti poi li rivedo non prima di 10 giorni. Di contro, ci son quelli che tutti i giorni entrano per una birra, un pacco di noccioline, tre fette di mortadella…anche più volte nella stessa giornata. Spesso si tratta degli anziani che non vogliono assolutamente cambiare abitudini, che vorrebbero trattenersi a fare la solita chiacchierata, che si arrabbiano se gli diciamo che non possono ritirare i premi della raccolta punti, perché anche quella ora sembra diventata una priorità…».

«Per non parlare poi della gente che chiacchiera serenamente al cellulare, trattenendosi oltre il dovuto, di fatto portando via un posto a qualcuno che attende di entrare. Purtroppo mi piacerebbe dire che queste cose le fa una minima parte di clienti, invece è la maggior parte e con mia grande delusione anche persone che stimavo. Poi certo non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ma molti, troppi non hanno il minimo rispetto per noi e continuano ad entrare consapevolmente ad un minuto dalla chiusura per farsi la spesa da 200 euro, costringendoci a trattenerci ulteriormente quando già siamo distrutti dalla mole di lavoro extra che abbiamo in questo periodo. È come se fosse da 20 giorni la vigilia di Natale, solo che alla fatica si aggiunge il disagio di lavorare con la mascherina: ovviamente monouso e che ci dobbiamo far durare».

Ma M. non dimentica anche i lati positivi, che tiene a sottolinearci: «Tutto questo delirio ha anche dei pro. Ho ancora il mio lavoro, che comunque ho sempre amato e lo stipendio non mi manca. Torneremo a farci la chiacchierata con i clienti come piaceva a me. Posso fare la spesa a fine turno e con un po’ di calma, ci siamo uniti molto tra colleghi, c’è molta solidarietà, molti mi avevano suggerito di prendermi congedo, dato che col bimbo piccolo e la scuola chiusa mi spetterebbe, ma non l’ho fatto per loro. Siamo una squadra e dobbiamo collaborare tutti, sarebbe stato da codardi tirarsi indietro proprio ora, sarebbe ricaduto sulle loro spalle, dato che è aumentato il lavoro ma non il personale». Insomma, da soli si può ma uniti si vince e, ora più che mai, l’impegno di ognuno di noi in questo senso, è fondamentale anche per non mettere a rischio la salute di chi magari non salverà una vita come un medico o un infermiere, ma ci garantisce, ogni giorno, la possibilità di poter continuare ad avere a disposizione tutto quello che ci serve per stare nelle nostre case in comodità anche durante la quarantena.

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