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Morte del detenuto Mario Trudu. Caligaris: «Morte che reclama giustizia»

«La scomparsa di Mario Trudu non può essere una notizia di cronaca da mandare in archivio dopo qualche giorno. È una morte che reclama giustizia per quanto è accaduto e per ciò che attende chi vive la condizione di perdita della libertà e lo fa in condizioni di salute precaria. Lo hanno compreso bene i detenuti della Casa di Reclusione di Oristano-Massama che, con una raccolta di fondi hanno voluto salutare l’uomo di Arzana con una corona di fiori, come ha testimoniato il Cappellano don Gabriele ai familiari» spiega Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “Socialismo Diritti Riforme”. «Quella di Mario Trudu è una testimonianza importante e significativa per chi nutre ancora fiducia nelle Istituzioni e nello Stato di diritto. Ciascuna di esse ha il dovere di interrogarsi e conservare nella memoria la battaglia civile che un uomo ha condotto in 41 anni di detenzione, condannato al carcere ostativo in seguito alla applicazione retroattiva di una norma, oggi peraltro ufficialmente incostituzionale. Nessun riscatto per lui. Nessuna possibilità di essere riammesso al consorzio civile, neppure con una grave malattia invalidante che infine lo ha costretto a cedere».

«Mario Trudu insomma è un testimone esemplare, per molti forse ancora scomodo, delle contraddizioni, violazioni dei diritti umani e storture del sistema penitenziario in generale e di quello sanitario in particolare, specialmente negli ultimi tre anni della sua tormentata vita detentiva. Una persona che, raggiunta la totale consapevolezza degli errori commessi, vinta la sua intima battaglia contro l’odio e il desiderio di vendetta, ha più volte richiamato l’attenzione sulla illegalità della norma contrapposta alla Costituzione (il 4 bis che applicato all’ergastolo ha reso questa pena senza fine e senza scopo). È lui che ha chiesto in più occasioni di essere fucilato in piazza, pubblicamente dunque, per rendere palese la “forza” di uno Stato che, in barba ai principi costituzionali sintetizzati dall’art.27 della pena finalizzata al recupero sociale, applica la legge della vendetta, l’attesa della morte come liberazione. E questo risentimento che appare ispirato dall’odio per l’incapacità di garantire una giustizia giusta a chi ha subito il torto e a chi lo ha fatto, sembra riverberarsi nel diritto alla salute, altro valore imprescindibile per i Padri costituzionalisti.
Trudu aspettava da un anno, troppo tempo, di essere curato per la sclerodermia, una malattia polmonare che se trascurata non lascia scampo. Tanti appelli rimasti senza risposta, oltre alle sollecitazioni di specialisti. La tappa successiva è stato il tumore alla prostata. Perfino raggiungere l’ospedale San Martino di Oristano da Massama, secondo tempi adeguati, è stato un terno al lotto».

«Non è facile accettare la fine della vita come naturale compimento di un percorso di esistenza,» conclude «ma diventa impossibile quando si cumulano ritardi, dubbi, ripetute richieste inevase. Quando subentra la disperazione e il cuore lacrima sangue. Mario Trudu è morto libero ma la sua storia non deve finire così, ha aperto una strada alla riflessione, ai tanti punti oscuri di un sistema che ha bisogno di una radicale ristrutturazione affinché sia davvero extrema ratio».

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