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Andrea Ibba Monni: “Ho realizzato il mio sogno ma non ho finito. Il teatro Ferai? La mia creatura”

andrea ibba monni

Ci apre le porte del suo mondo, il teatro Ferai, Andrea Ibba Monni, 36 anni, attore e regista teatrale. Ha appena finito le prove del suo prossimo spettacolo, è un vulcano in piena, tanta è la voglia di raccontarsi, nonostante cerchi nascondere quel briciolo di imbarazzo improvviso.

Andrea perché la scelta del doppio cognome? “Quando ero piccolo ho scoperto che c’erano troppi Andrea Ibba e poi non trovavo giusto non poter portare anche il nome di mia mamma perché da sempre credo nella parità di genere. Poi maestri a scuola non erano d’accordo e questa cosa mi faceva sentire un po’ speciale”.

Diplomato all’istituto nautico di Cagliari: “Non so fare neanche un nodo”, ammette, si laurea poi in scienze politiche relazioni internazionali all’Università di Cagliari. La sua formazione artistica inizia nel 1992, quando a 9 anni inizia a seguire ossessivamente la compagnia di Teatro studio di Cagliari.  Dopo 6 anni il regista gli dà il ruolo di assistente di scena, fino al 2001 il suo ruolo è dietro le quinte.

Una gavetta lunga 9 anni, che lui stesso definisce “Frustanti” perché il suo sogno era salire sul palcoscenico e recitare, esprimersi, darsi, ma che allo stesso tempo considera la sua “Benedizione” che in quegli anni ha imparato quanto fosse affascinante anche tutto ciò che fa da contorno al palcoscenico.

E da qui che Andrea inizia a spiccare il volo e inizia a collaborare con qualunque realtà esistesse a Cagliari.

Due sono le tappe fondamentali che hanno lasciato l’impronta nella sua vita artista prima di creare Ferai: la compagnia teatrale inglese con cui ha lavorato nel 2003- 04 con cui ha fatto 3 spettacoli di cui uno da regista. E l’incontro nel 2004 con Pier Franco Zampareddu (maestro del teatro sardo) che ha stravolto tutta la sua formazione. “Era uno che ha stravolto tutti Pier Franco, chi fa teatro a Cagliari ha necessariamente incontrato il suo mondo”, ricorda con venerazione.

La sua vita prende un’altra strada nel 2007, quando sta collaborando con l’ennesima compagnia, l’Alkestis ed incontra Ga: un colpo di fulmine lavorativo, con cui di lì a poco avrebbe dato vita a Ferai Teatro, spazio che dedica al suo maestro Zampareddu.

“Ferai nasce esattamente nel 2007, 8 luglio 2007 nel momento esatto in cui io conosco Ga. Con i primi progetti concreti nel 2008. Chi conosce Ferai dice non concepirebbe Ga senza Andrea e Andrea senza Ga, è sicuramente una visione un po’ romantica, però due individui opposti che si compensano. All’epoca c’era una penuria di attori maschi, all’inizio collaboriamo e facciamo una serie di spettacoli orribili che andavano a cementificare la nostra formazione. In realtà noi volevamo sperimentare, fare altro e quale modo migliore per esprimerci come volevamo fare noi se non creare qualcosa di nostro? Qual è la condizione per firmare le nostre cose? Avere la nostra realtà? Proviamo!”

Chi non risica non rosica si dice, direi che è andata bene?

“Assolutamente dopo 12 anni siamo ancora qui ed è emozionante, ma sai perché? Sai quando da piccola magari anche tu sognavi di fare la giornalista, lo diventi e vedi il tuo articolo con la tua firma, ti emoziona, no? Ecco per me è uguale. Io volevo fare questo, volevo semplicemente recitare. Dal 1992 al 2001 morivo dalla voglia di recitare. Adesso ho uno staff con più di 10 persone, uno spazio vivo e attivo, una scuola di teatro di oltre 150 anime. Faccio quello che voglio, decido io che lo spettacolo è quello, posso dire sì o no, ma lo dico non per vantarmi di qualcosa, ma perché il mio sogno si è stra avverato e cosa c’è di più bello di un sogno che si avvera?”

Una vivacità contagiosa, si diverte e si emoziona mentre racconta di sé e compiaciuto si guarda intorno: “Lo so, sembro esaltato, ma io amo il mio lavoro, amo tutto questo”.

Quindi ora hai tutto?

No, io non sono una persona modesta. Ti spiego. L’appetito vien mangiando. Io voglio diventare ricco, voglio che i miei spettacoli girino il mondo, voglio guadagnare molti soldi e non mi fermerò finché non ci riuscirò e probabilmente non ci riuscirò mai. Questo è un mestiere dove non trovi teatranti ricchi a meno che non si parli di produttori di Broadway, che è un’altra realtà. In Italia una compagnia che guadagna soldi non c’è. Ferai è una realtà completamente autonoma, finanziata dal pubblico ed è andata così bene fino ad ora che abbiamo anche la possibilità di fare spettacoli gratuiti, come è successo con Rapsodia.

Qual è lo spettacolo che più ti ha fatto schifo?

“Sono legato a tutti in maniera e per motivi diversi, lo spettacolo più di merda di Ferai è stato sicuramente uno dei primi, uno spettacolo banalissimo sulla Sardegna con testi di “Passavamo sulla terra leggera” di Sergio Atzeni. Anche se la passione l’ho sempre messa in ogni performance, ogni cosa che faccio è vitale.

Ed è vero, Andrea è adrenalina pura, mentre si racconta fuori è già buio e il tempo scorre senza quasi neanche accorgersene.

C’è invece uno spettacolo che ha segnato maggiormente il vostro percorso?

Prima di Rapsodia, che è stata la mia esperienza artistica e umana più dirompente fino ad ora, ma è recentissima, lo spettacolo che ha dato una svolta fino al nostro percorso è stato “Cuore di tenebra” nel 2016.  Per questo abbiamo ricevuto anche i complimenti dai nostri colleghi. Ricordo ancora le parole di Sabrina Mascia dell’Alkestis “Avete fatto del bene al teatro”, oppure il mio primo maestro ci disse: “Ho visto tutte le cose precedenti, tutti questi spettacoli anche un po’ provocatori che ci hanno fatto storcere il naso. Avete sempre avuto ragione, perché dovevate arrivare qui”. Quindi “Cuor di tenebra” è stato il campanello che ha detto a tutti, compreso il pubblico, stiamo facendo sul serio. È importante perché se scendo sotto quel gradino il pubblico si sente ingannato, per noi è stato la nostra pietra miliare. E bada bene, ti parlo di una realtà locale come la nostra”.

Sei un personaggio molto seguito, ti senti responsabile verso chi ti segue?

“Per me molto seguita è la Ferragni. Sono seguito può andare bene. Quello che faccio si sa, quello che scrivo sui social si sa. Ci sta, io sono uno che si esibisce, ci sta la curiosità della gente. Si mi sento responsabile, ma io credo che chiunque salga su un palcoscenico o presenti una propria opera debba sentirsi responsabile del tempo o dei soldi che chiede alla gente. Rapsodia era gratis ma chiedevo alla gente il suo tempo. Aldilà dell’essere seguito o meno io mi sento molto molto responsabili. Rubo una citazione di Ga “Noi abbiamo l’obbligo di essere sabbia negli ingranaggi” non olio. Perché se noi ci mettiamo in testa di essere olio non siamo artisti ma commedianti che fanno delle bellissime, ma innocue opere di intrattenimento. Che non cambiano niente. L’idea che l’arte cambi le vite è molto affascinante.”.

Sei presente e attivo nel sociale, secondo te cosa sta sbagliando oggi la nostra società? 

“Abbiamo perso l’educazione. Sbagliamo a non avere più valore dell’educazione, a non dire più grazie, buongiorno e buonasera. Se tu sei educato non ti permetti di trattare le donne da oggetto o proprietà, non ti permetti di trattare esseri umani da invasori, non ti permetti di insultare qualcuno perché ama chi gli pare di amare, se tu sei ducato non sporchi per strada, non evadi le tasse. Stiamo sbagliando il senso civico, sembrerò un bacchettone ma non me ne frega niente”.

Estroverso, perseverante, curioso è abituato ad esprimermi attraverso le sue performance e poco attraverso le parole. Ha quel pizzico di timidezza che è capace di camuffare dietro il suo lavoro, spesso aggredisce per non essere aggredito, capace di mascherare attraverso il sorriso l’imbarazzo e gli stati d’animo negativi. Non si arrende, è ottimista e vede positività in tutto.

Se ti guardi dentro oggi cosa vedi?

Vedo un uomo che aveva un sogno e che lo ha realizzato.  Vedo un artista, perché lo sono, ed è una cosa che mi ripeto spesso ultimamente perché fino a qualche tempo fa l’ho negato fino alla morte. Artista è una parola abusata, però la verità è che io faccio arte, io produco arte, ho la velleità di produrre arte. Mi propongo di produrre arte. Da artista sono chi è Andrea e vedo un uomo disciplinato, lavoratore, sognatore, provocatore. Vedo un uomo che attraverso la sua arte è capace di entrare a contatto con la vita delle persone e, se anche se solo per un istante, riesco a farle ridere o piangere, significa che sto toccando la loro anima e riuscire a stimolare le loro emozioni non solo è grandioso, ma è anche una responsabilità molto importante. Sono un uomo molto felice e anche fortunato. Io e Ga abbiamo fatto la fame letteralmente, all’inizio di Ferai saltavamo pasti. Tutt’ora piuttosto che andare da un bravo parrucchiere investiamo soldi per rendere migliore questo posto, perchè abbiamo un sogno e lavoriamo, lavoriamo tanto.

Chi è l’artista?

“L’artista è un lavoratore che ha delle scadenze, degli obiettivi, dei budget. La formazione di un artista non finisce mai, io non smetto mai di studiare e formarmi. Cagliari è ricca di gente che fa teatro ed è un mestiere che merita rispetto. Vorrei che si pensasse con rispetto a questo mestiere, non bisogna vergognarsi di dire “io faccio l’artista”, però se non produci non dire che fai teatro”.

Hai una mission?

“Sì, riuscire ad essere così ricco dal mio lavoro da poter permettere agli altri di iniziare questo lavoro: vorrei diventare un produttore. Mettere al servizio di nuove realtà le mie conoscenze per potersi esprimere. Nel nostro ambiente ci sono tanti maestri, ma non mentori, nessuno che ti guidi. Io e Ga cerchiamo già ora di essere quello che avremo voluto per noi e cerchiamo di mettere a disposizione del nostro staff tutta la nostra esperienza”.

 E poi? 

“Voglio che il teatro smetta di trattare il pubblico come una massa di deficienti: perché il problema del femminicidio va raccontato ma viviamo nel 2019 e la principessa con il principe come nelle favole non esistono. Perché io a teatro dovrei illuderti o pensare di sconvolgerti con effetti speciali datati? La gente si sconvolge se tu l’ascolti e ascoltandola riesci a togliere ciò che ha dentro: tanta felicità o una grande crepa, è questo che sconvolge. Bisogna smettere di pensare che il pubblico possa essere facilmente sconvolto. Il pubblico merita rispetto e deve essere trattato da cittadino del mondo del 2019”.

 

 

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