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Quando il partigiano cagliaritano Nino Garau liberò un paesino dell’Emilia Romagna

Nino Garau (foto: Dietrich Steinmetz).

Nino Garau ha conosciuto il fascismo, l’ha combattuto  e oggi, grazie anche al suo coraggio – come a quello di tanti altri ribelli antifascisti – godiamo delle libertà fondamentali che a ogni essere umano non dovrebbero mai mancare. La democrazia, seppur con i suoi mille difetti, è pur sempre un tesoro da salvaguardare. L’ha sempre ribadito lui, il partigiano sardo, cagliaritano.

Oggi ha 96 anni (classe 1923) e tanti ricordi impressi nella sua mente difficili da cancellare. Venne catturato dai nazifascisti (sempre in Emilia) insieme ad altri tre compagni, due dei quali furono fucilati. Quel momento fu terribile: trascinato con le manette di fil di ferro e una corda al collo, fu torturato con ferri da stiro bollenti sui piedi, acqua salata versata in bocca, pezzi di legno sulle unghie. Il tutto affinché parlasse. Ma lui, coraggiosamente, non disse nulla. Fu portato poi a Verona e qui  rinchiuso in carcere, da dove però riuscì fortunatamente a evadere grazie all’aiuto di un sardo come lui.

Una volta fuggito dalla prigione, tornò in Emilia dove divenne comandante della Brigata partigiana “Aldo Casalgrandi” a Spilamberto, in provincia di Modena. Lì Geppe, nome di battaglia, mise in pratica le conoscenze sulla strategia militare apprese all’Accademia aeronautica di Caserta e iniziò la lotta di liberazione l’8 settembre 1943 a capo della brigata. Spilamberto fu liberata il 23 aprile 1945 e lui contribuì attivamente a questo successo. Questo gli valse il riconoscimento del paesino emiliano, che gli conferì le chiavi della città.

Tornò a Cagliari nel 1947, ma purtroppo i problemi non finirono e fu imprigionato a Buoncammino con l’accusa di aver assistito all’uccisione di un ex fascista. Accusa poi smentita e fu assolto. Poi la laurea in giurisprudenza e, successivamente, divenne segretario generale in Consiglio regionale.

 

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