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Parla lo Chef di origini ogliastrine Alessandro Mecca, dagli esordi alla stella Michelin

45 i ristoranti piemontesi premiati a novembre con l’ambita stella Michelin, uno di questo è Spazio 7, all’interno della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, regno d’arte contemporanea a Torino. Lo chef di questo ristorante, Alessandro Mecca – classe ’84 e cucina nel cuore – ha radici ogliastrine.

Ma, per comprendere appieno come si possa arrivare a un traguardo simile, occorre fare un salto nel passato più lontano, nell’infanzia di un piccolo Alessandro Mecca.

«Ho capito che la cucina era il mio mondo praticamente subito, sono infatti figlio di ristoratori» racconta Mecca. È nel ristorante Crocetta, della famiglia, che scopre che l’amore per i fornelli gli batte dentro e lo chiama a sé. «Sono nato e cresciuto in ristorante. La vita di un ristoratore è molto impegnativa, soprattutto per quanto riguarda gli orari: si inizia al mattino e si va avanti tutto il giorno, fino a tarda sera».

Ne vive ogni istante, ogni ambito. Durante il servizio sta un po’ in disparte, racconta, d’altronde è solo un bambino, ma riversa la sua curiosità sui cuochi al lavoro, sulla sala gremita, sul trantran veloce e impegnativo di un ristorante.

«Quindi io conosco il ristorante come casa mia. Poi, quando ero più tranquillo, quando erano meno tesi, giocavo in cucina. Andavo, insieme a mio padre, in una pescheria famosa nei pressi del nostro ristorante, per vedere i pesci per il giorno dopo».

Una delle cose che fin da subito lo affascina è la scelta, meticolosa e attenta, dei materiali. Vedere la verdura, scegliere le carni, il pesce.

«Io ho finito la terza media, ho provato a fare tre anni di superiori ma ero un disastro» scherza «Sono stato bocciato più volte in prima. Lavavo piatti e pentole nel ristorante di famiglia. Prima era il fine settimana, poi, quando ho lasciato in modo definitivo la scuola, tutti i giorni. Da lì, non mi sono mai risparmiato e ho iniziato la gavetta dura. Patate, pentole. Pulire i pesci, pulire gamberi. Mettere a posto magazzini e frigoriferi».

Poi, il salto. Mecca si interessa alla pasticceria grazie a uno Stage al Ristorante del Cambio dove conosce lo Chef Angelo Maionchi.

«Ricordo quest’insegnamento: “Un bravo cuoco non può diventare un bravo pasticciere. Un bravo pasticciere può diventare un bravo cuoco”. Mi ricordo che per due, tre anni intensi, feci pasticceria imparando le cose base. Pasta frolla, pasta sfoglia, lievitati, creme, etc. Poi, spinto da questa voglia di cucinare, lasciai la pasticceria e iniziai a fare il cuoco definitivamente però con una solida base di pasticceria classica».

Da lì, sempre grazie al ristorante di famiglia, ha la fortuna di girare, di fare stage importanti in ristoranti rinomati, di prendere confidenza con il mondo che vuole, che desidera fermamente per sé.

Nel 2007, va in Brasile, a San Paolo, da Alex Atala, uno dei cuochi più importanti e conosciuti del mondo. All’epoca, il D.O.M. è 38esimo nella classifica di San Pellegrino “The World’s 50 Best Restaurants”, diventerà poi quarto nel 2011/2012.

«Rientrato, ho deciso di intraprendere la strada di capo cuoco. Ho lavorato in trattorie, ristorantini, enoteche, ristoranti per eventi. Fino a quando, nel 2012, ho deciso di aprire un ristorante a Villanova d’Asti, L’estate di San Martino, ristorante a cui sono legatissimo. Una piccola casetta in campagna con il camino. Tre anni e mezzo mi sono fatto conoscere, voler bene, sia dai clienti che da chi ha scritto di me».

A quel punto, arriva una magnifica proposta: Emilio Re Rebaudengo con madre e padre vanno a fargli visita per cena e gli propongono di diventare chef nel ristorante all’interno del loro museo, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, regno d’arte contemporanea.

«Allo Spazio 7 arrivo nell’agosto del 2015, dopo quasi 17 anni di cucina. Da lì siamo partiti. Ero spinto sempre e comunque da una grandissima curiosità, figlia di una passione naturale che mi lega all’atto del cuoco del cucinare, non riesco a vedermi fare nient’altro. Andare in cascina, in allevamento, al mercato del pesce, parlare con i fornitori… Sono cose importanti per me. La mia prima regola è scegliere i prodotti migliori. Non è comunque un concetto legato al prezzo, ma proprio alla qualità di ogni singola tipologia di cibo».

Da quel momento, tre anni d’impegno, di sacrifici, di duro lavoro.

«Abbiamo fatto un grandissimo lavoro di squadra, con i ragazzi in cucina, con la brigata in sala. Soprattutto c’è una grande coesione con i proprietari, con Emilio, ad esempio, con il quale ho disegnato il futuro sin dall’inizio per arrivare alla stella Michelin».

Non sono mancati, accanto alle soddisfazioni, gli errori, confida Mecca, però sono sempre andati avanti come treni, cercando di migliorare sempre.

«L’ultimo anno, da marzo, aprile 2017, ci siamo proprio guardati in faccia. Abbiamo pensato: “È il momento di spingere, di non sbagliare nulla, di puntare sul ristorante” e così abbiamo fatto, eravamo mirati, volevamo arrivare all’obiettivo. Comunque, per poter ambire alla stella Michelin devi avere solide basi, costruite in anni e anni di duro lavoro, di gavetta».

Mecca parla anche della Sardegna, dell’Isola che ha nel cuore.

«Lì ritrovo una serenità, una pace. Per me la Sardegna è un sacco di cose. È romanticismo, è entroterra. Forse meno mare, perché sono più un selvatico. I miei più grandi amici sono lì, io sono sempre venuto giù in vacanza tutti gli anni. Sono tanto legato all’Isola. I prodotti, la cultura, questa diffidenza, la conoscenza dei luoghi, questa cultura radicata, questa testardaggine, questo spirito sardo… adoro tutto questo. L’Ogliastra per me è bellissima, è rimasta ancora verace sia culturale che turisticamente. Non mi piace tanto andare al mare, quanto vivere l’entroterra. Nelle vacanze di Natale verrò, ho bisogno di staccare. Sogno che ho, di fare qualcosa lì, quando sarò più tranquillo, più sereno, perché ora ho ancora una grande fame di lavoro».

Anche riguardo la cucina, spiega Mecca, ha imparato tanto da qui, dalle sue zie, Elvira e Silveria, che gli hanno insegnato molte basi.

«Tra l’altro negli ultimi anni, specie in Ogliastra, è migliorata tantissimo l’offerta del cibo nelle case rurali, negli agriturismi, nei piccoli luoghi. Mentre non mi hanno mai fatto impazzire i locali commerciali, dozzinali e a caccia di turisti, mi piace quando le persone aprono le porte di casa per trasmettere le proprie tradizioni».

«L’emozione per la stella Michelin è stata enorme. Il sogno della vita. Ho dedicato 25 anni alla mia più grande passione e la chiamata del direttore della guida Michelin per andare a Parma per le premiazioni è stata una cosa incredibile. Dalla chiamata alla settimana dopo la premiazione ti ricordi di tutti i sacrifici che hai fatto, del viaggio, dei tempi duri, uscire di casa presto e rientrare tardi distrutto, delle difficoltà. Qualcosa di tutto questo è stato premiato, questo pensi. Spero di non aver finito, se riuscirò un giorno ad averne due sarò felicissimo, non mi fermo!».

Adesso, segue – nel Bistrot del piano terra – due ragazzi di 18 e 19 anni. Sta con loro, insegna le basi di un mestiere che è diventato la sua vita.

«A me piace da matti avere ragazzi giovani che imparano. Quando ti accorgi che loro ti guardano incuriositi sia con il rispetto che ti devono perché sei un cuoco più grande che ammirati, alle volte, è bello, è una cosa che ti riempie d’orgoglio. È un lavoro duro, fatto di fatica, e anche quando vieni riconosciuto come uno chef stellato comunque non ti dimentichi che la mattina devi sempre mettere il brodo, pelare le patate… Non si arriva a una stella Michelin passando per vie traverse, ma lavorando sodo. Facendo la pasta fresca, imparando a pelare bene le patate, a usare il coltello. Comunque chiunque sia arrivato in alto dopo essersi fatto un mazzo così se lo deve ricordare. C’è chi ci mette un po’ di più, chi meno, ma l’importante è lavorare sodo e lavorare tanto».

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