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(FOTO) L’inchiesta: l’alluvione a Uta e l’agricoltura. Testimonianze e conta dei danni

Articolo di Matteo Portoghese.

Nulla di paragonabile a quel terribile 1999, quando tutto il circondario venne messo in ginocchio dalle acque, ma anche stavolta Uta tutta ha sospeso il fiato. Bloccata dalla paura, dai déjà-vu di 19 anni fa. Per via della presenza di fiumi a carattere torrentizio, la cittadina è spesso a rischio alluvione. Trattandosi poi di un comune dalle superficie vastissima (134,71 km², che è tantissimo per poco meno di 9 mila abitanti) e dalla forte vocazione agricola, le avverse condizioni metereologiche di mercoledì 10 ottobre hanno avuto effetti devastanti e tante sono le imprese e le famiglie colpite. Toccate soprattutto aziende agricole, zootecniche e del settore delle serre, in molte delle quali si sono formati dei veri e propri “fiumi” d’acqua, con danni a bestiame, foraggere per non parlare della viabilità rurale. Molto compromesse le zone di Santa Lucia e il WWF, oltre ai danni infrastrutturali e gli allagamenti.

Le testimonianze raccontano di un’economia, quella utese, a rischio paralisi. Ma anche di gente pronta a rimboccarsi le maniche e dare tutto per risollevarsi, stringere i denti di fronte alle avversità. Come Marco Collu, la cui azienda di famiglia a Santa Maria, nell’immediata periferia campestre di Uta, rischia di veder compromesso il ciclo di produzione e di conseguenza l’andamento dell’attività tutta. «La pioggia ha allagato, praticamente inondato i terreni – racconta – con le colture che avevamo piantato. La maggior parte di queste sono per l’Orto di Eleonora (coop agricola campidanese, ndr). Ora che l’acqua sta pian piano andando via e si sta asciugando, si incominciano a vedere le malattie. Si tratta di 3 ettari di patate e 1 ettaro e mezzo di carciofi. Il problema è anche quello dei finocchi: dovremmo piantarne altri, siamo in ritardo già di due settimane, ma sarà impossibile entrare in azienda a lavorare per almeno due mesi». Santa Maria è in pianura, ma è zona alluvionale; il problema è che l’acqua ristagna, con le conseguenze del caso: le radici vanno a marcire.  Ora il racconto di quella sera: «Mio padre è nella compagnia barracellare di Uta e abbiamo provato ad andare in azienda ma è stato impossibile – continua – accedere. La zona era completamente allagata. La mattina dopo siamo andati per visionare i danni, ma si vedeva solo acqua: una distesa grande, enorme. Dal 1999 in poi non ci sono stati problemi del genere. In montagna poi c’è un terreno che usiamo per foraggera e non riusciremo ad ararlo: la crepa che si è creata ha praticamente formato un nuovo fiume. È come un canale che è nato da solo, profondo 1,5/2 metri».

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 Alluvione Uta, ottobre 2018 13  

Scoraggia non solo ciò che si è perso, ma soprattutto il lavoro che non si riuscirà a fare nei prossimi mesi: «Riprendersi sarà molto pesante, abbiamo investito i nostri risparmi nell’attività, seguiamo sempre questo ciclo produttivo e questo evento va ad alterare tutto. Martedì verrà un perito a visionare l’azienda e speriamo arrivino aiuti, altrimenti siamo davvero messi male». Un dramma generale: «Conosco molte persone che hanno avuto danni, l’economia non solo di Uta ma di tutto il Sud Sardegna rischia di bloccarsi. Ripeto, tra due o tre mesi quando dovremmo raccogliere… non avremo prodotti. Ci perderanno produttori e consumatori. Mi sento comunque di ringraziare comune, protezione civile, vigili del fuoco e tutti gli altri per le azioni, i soccorsi e la vicinanza mostrata. Cerchiamo di riprenderci, tutti insieme».

Ha perso tutto Carlo Locche, con la sua azienda agricola con l’orticolo in pieno campo ma anche in coltura protetta (in serra), oltre a un allevamento di fauna selvatica (pernice sarda e quaglia da volo). Vicino al Cixerri, in una zona colpita dalle esondazioni. «Parlarne, condividere ciò che è successo è utile – esordisce – perché ti aiuta a non sentirti solo e magari a pensare a come rialzarti. La notte di martedì ha iniziato a piovere ma i danni, alla mattina del 10, erano contenuti: un po’ d’acqua ma nulla di critico. La disgrazia è venuta dopo, quando ha ripreso a piovere: l’acqua è stata tantissima e, a prescindere da quanta fosse, questi vecchi canali erano stati un po’ puliti ma non ripristinati bene. Il fiume quindi era per l’80% pieno di detriti e altro che ostruivano il passaggio dell’acqua. Mercoledì, la devastazione: 4 mila metri di pomodoro… inondati da 50 cm d’acqua, che ha sfondato i fianchi, con un dilavamento. Ai terreni e alle serre mancano vari cm di terra; un danno del 100%, il prodotto che avremmo dovuto raccogliere… non c’è più ». Carlo si trovava in casa, stessa ubicazione: «In pratica il fiume è passato, ha diviso in due l’azienda passandoci in mezzo. Ha portato via attrezzature, impianti di irrigazione per non parlare dei danni alle serre». Colpito duro l’allevamento: «Ho provato a mettere in salvo qualche animale, qualche pernice che era ancora in vita, cercando di salvarle». Fino al colpo di grazia della tempesta di fulmini della sera: «La pioggia è stata sempre più intensa, sembrava 10 volte più forte di prima e iniziavamo a sentire paura. Ci passava davanti, col fiume, tutto quello per cui avevamo lavorato: un’angoscia. Fortuna vuole che le abitazioni risultano sollevate rispetto al terreno».

Finita la pioggia, 80 cm d’acqua che hanno sfondato le porte delle voliere. E il disastro della mattina dopo, con danni per decine di migliaia di euro: «Ripartire? Non lo so, ci serve del tempo per ripristinare tutto, recuperare e salvare quel che si può e poi ripulire: c’è di tutto, tra immondizia, legnami, le canne delle recinzioni. Serviranno le ruspe per ripristinare le strade, distrutte. In pratica qui vicino stiamo camminando su un fiume e non è detto che i terreni saranno capaci ancora di produrre bene, con tutto quello che c’è finito». Un settore, questo dell’agricoltura in Sardegna, già era in sofferenza per la concorrenza del mercato globale: «Stiamo lavorando contro tutto e tutti, dobbiamo competere con prodotti esterni, meno buoni dei nostri ma che ci battono a livello di prezzo e conquistano la grande distribuzione; abbiamo un prodotto che è un’eccellenza, in particolare il pomodoro, riconosciuta in tutta Europa. Già ci sono difficoltà a essere competitivi, a fare i conti coi prodotti di Spagna, Tunisia e Olanda, figurarsi ora. Siamo costretti a sperare che qualcuno ci dia una mano per ripartire: abbiamo perso tutto e le spese stanno arrivando…». La triste prospettiva di un’attività di famiglia a rischio: «Questa è la cultura di casa mia, è il lavoro che amo e che mi piace, quindi si può capire quale sia la difficoltà del momento. C’è da dire che gli amministratori ci sono vicini e non sentirsi soli aiuta, ti può dare la forza. Bisogna incoraggiarsi l’un l’altro».

«Abito da 34 anni in Cora Matzeddus – ecco la testimonianza di Samuela Pani – e ne ho viste tante in vita mia tra alluvioni e grandinate. La peggiore quella di 19 anni fa, che ci portò via tutto facendoci cessare l’attività. Quella volta rimanemmo una settimana isolati, senza vedere anima viva. Stavolta, memori dell’esperienza passata, abbiamo temuto il peggio ma non eravamo soli. Il sindaco Giacomo Porcu e l’assessore Antonello Soriga ci hanno detto semplicemente “Samuela, dobbiamo andare via” e io ho risposto “io non vado via, io non lascio la mia casa”. Hanno accompagnato subito mia mamma e i miei bambini in centro da una zia e io sono rimasta con mio padre, per cercare di salvare il salvabile, seguire un po’ la casa in modo che non entrasse l’acqua». Ha provato a fare “resistenza”, Samuela: «Sindaco e vigili del fuoco, degli angeli, sono tornati alle 2:00 e hanno insistito perché evacuassimo. Noi spingevamo per restare, forse perché non ci rendevamo conto delle condizioni della montagna vicino, di cosa stesse succedendo. Siamo quindi andati con loro in comune sperando di tornare subito. Purtroppo, la successiva perturbazione ce lo ha impedito». Una notte al sicuro, ma senza chiudere occhio: «La preoccupazione era grandissima, l’idea di perdere tutto il lavoro di una vita: non sapevamo cosa sarebbe rimasto del nostro lavoro di una vita, se ce ne sarebbe rimasto un briciolo, qualcosa». Difficile anche il rientro la mattina dopo; le strade verso casa non esistevano proprio più: «Solo fango, acqua. Niente vie d’accesso; il Cixerri, in piena, era sbarrato. Stavano crollando un altro ponticello che porta a casa e un albero lì vicino. Poi siamo riusciti e per fortuna in casa non c’era una goccia d’acqua, però fuori… non c’era più nulla. Niente più oliveto di mio padre, sradicato dalla furia dell’acqua, lo stesso la recinzione: tutto da rifare». Come se non bastasse, una settimana dopo il maltempo è tornato (allerta stavolta “arancione” mercoledì 17 e giovedì 18), non con la stessa intensità ma certamente non aiutando una celere ripresa.

«I primi problemi si sono riscontrati in località Santa Lucia il 10 mattina, attorno alle 3 di notte – racconta Giacomo Porcu, sindaco – e subito dopo abbiamo allertato preventivamente il COC (Centro Operativo Comunale), nonostante l’allerta fosse solo “ordinaria”. Poco dopo siamo passati direttamente all’allerta rossa e sono arrivati i mezzi di soccorso». Evacuate allora preventivamente le case delle zone vicinissime al Cixerri. Attivata la macchina dei soccorsi e arrivate le macchine dei vigili del fuoco, amministratori, protezione civile e vigili del fuoco iniziavano allora a perlustrare il territorio, con l’evacuazione di 47 persone da zone molto vicine ai canali.  «Con la seconda ondata della sera, attorno alle 18:30/19, la situazione è peggiorata. In paese, a parte alcuni casi di cittadini evacuati in via precauzionale più che altro, non si sono verificati grossi problemi perché avevamo completato le opere di manutenzione preventiva dei canali di guardia e di scolo. Le vie Regina Margherita e Montegranatico hanno avuto qualche piccolo problema, ma nulla di esagerato». «Il ponte sul Rio Coccodi a parer mio – spiega ancora – andrà abbattuto, perché è completamente collassata la struttura: era stato costruito un nuovo ponte su quello già esistente. Ha ceduto il vecchio e poi l’altro non ha retto. C’è bisogno ora di interventi urgenti, altrimenti si rischia di isolare l’intero sud ovest del paese. Tali interventi – aggiunge il primo cittadino – andranno fatti di concerto con genio civile e consorzio di bonifica. Non è qualcosa che può fare il comune da solo, per una questione di mezzi economici oltre che di scelte su cosa fare». Inoltre «l’alluvione ha messo in difficoltà centinaia di aziende. Parliamo di un settore fondamentale per il nostro paese, nel quale stiamo assistendo a un ricambio generazionale: numerosi giovani stanno riscoprendo il lavoro agricolo e lo stanno modernizzando. È un momento molto pesante, la richiesta è di avere risorse e sostegno, per avere come la benzina per ripartire. Parliamo di gente che ha perso tutto il raccolto, dopo aver investito per un’intera stagione. Non chiedono assistenzialismo, ma una mano per riprendersi, mettersi alle spalle questo brutto momento».

La Regione Sardegna ha istituito lo stato di calamità naturale, così come i comuni, e ora arriverà una richiesta al governo per l’emergenza nazionale, per cui dovranno essere stanziati fondi nazionali e regionali da mettere a disposizione del territorio. La vicesindaca Michela Mua riconosce che «si è trattato dell’evento più drammatico dall’alluvione del 1999, in un danno che sarà molto grave per l’economia. Però la cittadinanza tutta ha dimostrato coraggio, solidarietà reciproca e bisogna ringraziare tutti gli operatori soccorritori, dalla polizia locale che assieme a noi, conoscendo bene il territorio, ha accompagnato nei vari luoghi di crisi i vigili del fuoco, alla compagnia barracellare, la protezione civile e tutti gli altri che si sono impegnati senza sosta. Voglio menzionare poi i servizi sociali, che ci hanno permesso di mantenere vivo il contatto coi cittadini, in particolare con alcune persone diversamente abili, e capirne subito le urgenze e necessità. Il centro urbano ha subito pochi danni, grazie alle opere di manutenzione ordinaria, e la gente ha mantenuto la calma».

La necessità, per il futuro, è «incentivare i comportamenti più virtuosi da adottare in questi casi. Il racconto e l’esperienza aiutano, il Piano di Protezione Civile ha funzionato e si deve andare avanti in questa direzione. Il problema resta che Uta ha un territorio molto esteso e il rischio è l’isolamento di certe aree». Disposte intanto la riapertura alla circolazione nel Ponte vecchio sul fiume Cixerri, la riapertura del guado in Località “Bau Arena”. Chiuso il COC, a seguito delle migliorate condizioni meteo e del conseguente declassamento dell’allerta a gialla.
Ma la vera sfida dell’economia e del lavoro inizia adesso. Uta ha voglia di riprendersi con le unghie e con i denti ciò che l’acqua le ha portato via.

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