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“Balentes”, il documentario-denuncia sulle basi militari in Sardegna di Lisa Camillo, la sarda venuta da lontano

Lisa Camillo con i genitori di un militare sardo morto dopo un'operazione militare nei Balcani

Lisa Camillo con i genitori di un militare sardo morto dopo un'operazione militare nei Balcani

Cosa c’entra la Costa Smeralda con Capo Frasca, Capo Teulada e il Poligono di Quirra? Apparentemente nulla, due realtà completamente diverse tra loro che condividono solo l’isola che le contiene, la Sardegna. Eppure la Sardegna è una cosa sola, un’unica terra e un unico popolo, uniti dal carattere e dalla storia. Di questo è convinta Lisa Maria Celeste Camillo Satta, documentarista ed antropologa sardo-australiana nata e cresciuta a Porto Cervo, ma reduce da 15 anni trascorsi in Australia. Sabato scorso la giovane regista ha presentato al Grand Hotel Poltu Quatu – con un’anteprima in forma privata e informale – la sua ultima opera, “Balentes, the brave ones – documentary”.

Balentes è un’opera coraggiosa, che partendo dalla prospettiva fortemente soggettiva dell’autrice, che dopo 15 anni in Australia torna nella sua isola, racconta e analizza le problematiche connesse alla presenze delle basi militari in Sardegna. Il taglio dato alla narrazione è fortemente intimo e personale, ma non lesina dati, analisi scientifiche e interviste sul campo a persone che sono rimaste direttamente coinvolte in tutto questo, come per esempio i genitori di alcuni militari sardi impiegati nelle basi o nelle missioni militari all’estero, vittime di quel grande calderone ancora misterioso e irrisolto chiamato uranio impoverito

C’erano anche alcuni di loro all’anteprima informale e privata del documentario, così come c’erano Mauro Pili e Gian Piero Scanu, ormai ex parlamentari ma attivissimi, nella scorsa legislatura all’interno della Commissione Uranio Impoverito, istituzione che ha indagato a fondo per la prima volta sul grande punto di domanda delle tante morti di giovani soldati venuti a contatto con sostanze indubbiamente nocive, quali uranio impoverito e torio. 

Lisa, la sarda venuta da lontano e cresciuta nella splendente Costa Smeralda dell’Aga Khan, quella in cui hanno trovarono lavoro e misero su famiglia il padre australiano e la madre di Buddusò, si è posta una domanda che ormai molti sardi, che l’isola la abitano quotidianamente non si pongono più: è giusto che la Sardegna detenga più del 60% dei poligoni militari presenti in Italia? La risposta che si è data Lisa Camillo, documentata da un lavoro durato quattro lunghi anni e da un racconto intenso, vivido e genuinamente popolare dei fatti è no, non è giusto. Ma perché questa domanda tanti sardi non se la sono mai posta?

La regista lo afferma in maniera candida e cristallina: al posto delle basi militari preferirebbe ci fossero in Sardegna altre zone dedite al turismo e al benessere simili alla Costa Smeralda, modello di sviluppo considerato sostenibile e di successo. Essere “balentes” significa per lei e per tante altre persone presenti all’anteprima del documentario, rivendicare il diritto di chiedere per la Sardegna un modello di sviluppo diverso da quello calato dall’alto delle stanze del potere, focalizzato, in questo caso, sulla libera impresa.

Eppure non tutto è perduto, secondo Lisa Camillo. Dal ricordo della rivolta di Pratobello, presa a esempio di balentìa sarda che vince e sconfigge le idee calate dall’alto (a Orgosolo nel 1969 volevano creare una base militare ma la rivolta pacifica della popolazione lo impedì), fino alle manifestazioni pacifiste come quella andata in scena fuori dal poligono di Capo Teulada nel novembre del 2015, quando in Sardegna era in corso Trident Juncture, la più grande esercitazione militare dalla fine della Guerra Fredda ad oggi. 

«Spero che il documentario possa arrivare nelle sale entro l’anno – spiega la regista – So già che non sarà facile e che incontreremo molte resistenze, ma non ci arrenderemo. Dobbiamo restare uniti».

 

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