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Un lavoro intenso di emozioni: Marco Buttu un ingegnere sardo in Antartide

La terra vista dall’Antartide ha un incredibile cielo di stelle, che si illuminano in un intreccio continuo. Il cosmo è più vicino, e i pensieri si interrogano sulla bellezza che poche persone possono vivere. Marco Buttu da Gavoi è da qualche mese una di queste, per lavoro. Dopo essersi laureato in Ingegneria Elettronica  a Cagliari e trascorso alcuni mesi al Policlinico Federale di Losanna, ha iniziato a lavorare per l’Istituto Nazionale di Astrofisica all‘Osservatorio Astronomico di Cagliari.

Sviluppava software di controllo per il Sardinia Radio Telescope, un vero e proprio gioiello tecnologico presente a San Basilio che risulta anche come il telescopio più moderno in Europa del suo genere. Poi un giorno, chiacchierando con un collega, spunta fuori l’idea di lavorare altrove, in un posto nuovo e intenso. Marco Buttu oggi si trova a Concordia Station per conto del PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide) finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) e coordinato dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) per le attività scientifiche, e dall’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) per l’attuazione operativa delle spedizioni antartiche.

La sede di Concordia Station – Photo Credit: Marco Buttu

Come sei arrivato a lavorare alla Concordia Station in Antartide?

Tutto è avvenuto in modo abbastanza casuale. Sino ad agosto 2017 non avevo mai sentito parlare della Stazione Concordia, e mai avrei potuto immaginare questo cambio di vita. Mi trovavo nella sala controllo del Sardinia Radio Telescope e assieme all’Agenzia Spaziale Italiana ci preparavamo per osservare degli ultimi momenti di vita della sonda Cassini. Durante una pausa l’Antartide finì nei nostri discorsi e un collega mi disse di aver ricevuto una email relativa alla ricerca di personale per una spedizione. La vita è veramente curiosa: i giorni prima, e anche il giorno stesso, presi delle decisioni casuali, all’ultimo momento, che mi portarono ad essere là in sala controllo, al posto giusto, nel momento giusto, con le persone giuste. Così adesso son qua, una tra le 26 persone più isolate al mondo, irragiungibile per altri 4 mesi.

Che tipo di pensieri scorrono in un luogo così lontano rispetto al resto del mondo?

La quantità dei pensieri è sicuramente inferiore a quella che si ha nella vita normale. Qua non c’è frenesia. Così hai il tempo per soffermarti a riflettere sulla Natura, momenti importanti che la società contemporanea dovrebbe riprendersi. La scienza non è solamente progresso tecnologico, e la ricerca scientifica dovrebbe venire stimolata in primo luogo dalla nostra curiosità nei confronti dei grandi misteri di sempre: il senso dell’Universo e della nostra esistenza. Sono riflessioni legate alla singolare situazione che sto vivendo, perché l’essere lontani dalla vita, dagli affetti e da tutto ciò che per voi è normale, come il vedere il Sole, un albero, un filo d’erba o un insetto, ti fa sentire più vicino al resto del cosmo che alla Terra. Ed è normale che sia così, perché hai solamente il cielo stellato a farti compagnia e a scandire i ritmi del tempo che scorre. E non parlo di compagnia in un’accezione figurata del termine, dato che le stelle, i pianeti e la Luna son tutto ciò che ho al di fuori della base. Quando esco per andare al telescopio, alzo subito lo sguardo al cielo e Marte, Giove, Saturno, Canopus e Sirio son là, come il giorno prima, vivi. Marte è così luminoso che sembra trovarsi a poca distanza da me, tanto da poterlo acchiappare allungando le braccia. Sto per qualche minuto ad osservarli, sinché il freddo dei -85°C windchill penetra i vari strati protettivi sino ad arrivare alla fronte, e allora realizzo pienamente dovo mi trovo, mi scappano le lacrime e ringrazio per questo meraviglioso regalo che mi ha fatto la vita.

Che lavoro compi ogni giorno assieme ai tuoi colleghi?

L’equipaggio è composto da 13 persone, di nazionalità italiana, francese e austriaca. Alcuni di noi sono tecnici, e si occupano degli aspetti inerenti la manutenzione ed il controllo della base, in primo luogo la produzione di energia elettrica e di calore per il riscaldamento, poi l’elettronica degli impianti, l’idraulica, la meccanica, la gestione dei sistemi informatici e di quelli per le telecomunicazioni. Vi è poi un cuoco ed un medico, mentre la restante parte del gruppo è composta da ricercatori che portano avanti dei progetti di ricerca scientifica: astronomia, sismologia, geomagnetismo, glaciologia, fisica dell’atmosfera, ecc. Io mi occupo dei progetti in campo astronomico. Alcuni di noi escono quotidianamente all’esterno per effettuare la manutenzione della strumentazione. Il resto del tempo lavorativo lo trascorriamo in base ad analizzare i dati dei nostri esperimenti, oppure a sviluppare qualcosa di inerente ai nostri progetti, come ad esempio del software.

Marco Buttu e la Luna – Photo Credit: Marco Buttu

Quali sono le difficoltà del quotidiano? Come viene vissuta la vita?

Fortunatamente il gruppo è compatto, per cui non ci sono difficoltà relative all’aspetto umano. Le difficoltà maggiori, per quanto mi riguarda, sono tecniche, e devo affrontarle quando si verificano problemi al telescopio. In questi casi infatti devo stare all’esterno e le condizioni sono veramente estreme. Tre settimane fa, ad esempio, ho trascorso una intera giornata a fare delle riparazioni con una temperatura di -75°C, che a causa del vento veniva percepita come -92°C. All’esterno della base usiamo le moffole e sotto queste indossiamo dei guanti. Quando però devi effettuare alcuni lavori che richiedono ad esempio l’utilizzo di un cacciavite o la realizzazione di cablaggi elettrici, devi levarti le moffole e restare solamente con i guanti. Potete immaginare cosa significhi, a quelle temperature… Quindi ogni 5 minuti ero costretto ad entrare all’interno di uno shelter per riscaldare le mani, e poi nuovamente al telescopio per lavorare altri 5 minuti. I fili elettrici si congelano tra l’altro, per cui devi stare molto attento nel toccarli, altrimenti si spezzano. Un lavoro da 30 minuti in quelle condizioni richiede delle ore. Nella restante parte del tempo facciamo dell’attività fisica (per circa un’ora e mezzo al giorno pratico ashtanta yoga), leggiamo, stiamo assieme a chiacchierare o guardare dei film. Poi c’è chi scrive, come me.

C’è un aneddoto (positivo) a cui ripensi di questi mesi vissuti?

Non è una scelta semplice, perché questi ultimi sette mesi son stati un continuo susseguirsi di emozioni ed esperienze uniche. Vi racconto l’ultimo in ordine di tempo, che riguarda l’aurora australe. L’aspettavamo da diversi mesi, così qualche giorno fa il Sole, che non vediamo da un mese e mezzo, ha deciso di farci un regalo. Siamo usciti dalla base alle 18.30 ora locale, per fare alcune foto di gruppo sotto la Via Lattea. Poco prima di cena gli altri son tornati in base mentre assieme ad un collega abbiamo approfittato di quel cielo fantastico per star fuori a fare qualche foto. La temperatura era di -81°C windchill e non sentivamo alcun freddo, forse perché c’era poco vento, o forse perché eravamo talmente estasiati al cospetto di quello spettacolo che non potevamo proprio sentirlo. Dopo una decina di minuti è apparsa l’aurora, e potete immaginare la nostra gioia.

Cosa porti dietro della tua Sardegna?

Con l’inizio della lunga notte antartica ho iniziato a scrivere un libro. La mia storia recente è giusto un pretesto per parlare di scienza, misticismo, avventura, e soprattutto Sardegna: paesaggi, storia e racconti di alcuni sardi che hanno raggiunto gli apici a livello mondiali nei propri settori di competenza. Così oltre ad aver preso con me qualche oggetto materiale, come la bandiera dei quattro mori, con la scrittura mi proietto nella mia amata isola e sperimento il teletrasporto: riesco a sentire i profumi, l’irraggiamento del Sole sulla pelle e la sabbia del mare sotto i piedi.

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