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Ora però diciamola tutta: la salvezza del Cagliari non è un sogno, ma la fine di un incubo

Il Cagliari festeggia dopo la salvezza

Il Cagliari festeggia dopo la salvezza

Il rigore sbagliato ieri da Caldara è stato come un delizioso “gueffu” alla fine di  un pasto poco gustoso e sicuramente un po’ indigesto. La pancia è piena, ma le papille gustative hanno goduto molto poco. La sensazione è quella di essere arrivati alla fine di un lungo pranzo i cui ingredienti erano poco freschi o, nel migliore dei casi, surgelati. Per questo il delizioso dolcetto finale, che si è trasformato in tre gradevolissimi punti in classifica e nella sensazione che i rossoblù si siano salvati con le proprie forze, non deve illudere nessuno sul fatto che quest’anno a Cagliari si sia mangiato bene.

Che qualcosa si fosse rotto all’interno dello spogliatoio del Cagliari era diventato da settimane se non da mesi il segreto di Pulcinella. L’epiteto poco nobile usato da Marco Sau per definire il compagno Leandro Castan a fine partita, reo di aver abbandonato subito il campo dopo il triplice fischio (con tanto di labiale trasmesso su Sky), ha palesato una frattura all’interno del gruppo che è stata messa da parte dai giocatori – bisogna dirlo, in maniera estremamente professionale – nel corso di queste ultime giornate di campionato. Il gruppo si è ricomposto nel suo momento più buio, cioè dopo la sconfitta contro la Sampdoria. In quel momento sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa. Il nuovo direttore sportivo Marcello Carli, è intervenuto come un “Deus ex machina” in una conferenza stampa fiume in cui, sbattendo i pugni sul tavolo davanti ai giornalisti, è come se avesse bonariamente acciuffato per la collottola uno ad uno tutti gli uomini di Lopez (e forse anche lo stesso tecnico uruguaiano), prima che sprofondassero nel baratro dell’inadeguatezza e della resa. Da lui bisogna ripartire.

Da Carli, ma non da Lopez. L’ex capitano e numero 6 rossoblù ha dimostrato due cose: la prima è che ama il Cagliari profondamente, come nessun altro tecnico di quelli che si sono avvicendati negli ultimi anni, la seconda cosa è che per brillare in Serie A ha bisogno di fare ancora moltissima gavetta. «Ringrazio i giocatori i nostri tifosi per il sostegno nei momenti di difficoltà e un ringraziamento speciale a tutta la gente che lavora intorno alla squadra», queste le sue parole pubblicate a cuore aperto sulla sua pagina Facebook. Parole che hanno il sapore di un saluto, ma anche di un umile ringraziamento al suo pubblico e alla sua società per la pazienza dimostrata nei suoi confronti. Lopez come tecnico ha dei limiti e ne è ben consapevole. Per il suo bene e per il bene del Cagliari, è meglio che chiuda così la sua esperienza sulla panchina rossoblù, con una salvezza in più sul curriculum e con cicatrici profonde ma non insanabili. 

Un’altra decisione non facile e piuttosto dolorosa, la società dovrà prenderla con tutti quei giocatori che non riescono più a trasmettere con piedi, gambe e polmoni, gli importanti sentimenti che li legano a questa maglia. Se nel caso di Andrea Cossu la passerella concessagli ieri da Lopez  è il miglior saluto che si possa avere, discorso diverso vale per altri atleti che in altri ambienti e forse in altre categorie possono ancora dare qualcosa. Marco Sau, Daniele Dessena, Alessandro Deiola, Niccolò Giannetti rientrano in questo gruppo. Qualcuno di loro potrebbe restare ma per non rischiare di rimanere solo degli uomini spogliatoio, dovranno dimostrare di poter dare ancora qualcosa alla causa rossoblù. Che ne sarà invece di Joao Pedro e Diego Farias? I due brasiliani, forse i giocatori di maggior talento, sono stati quest’anno a dir poco discontinui. Farias ha mostrato in queste ultime gare di essere uno dei calciatori più forti nel dribbling, ma anche uno degli attaccanti meno lucidi sotto porta di tutta la Serie A. Joao Pedro, fatta eccezione per la squalifica da parte dell’antidoping, non ha portato quella luce al gioco del Cagliari che gli era stata richiesta. Entrambi dovranno decidere cosa vogliono fare da grandi? Far compiere il definitivo salto di qualità a sé stessi e al Cagliari o partire in cerca di milioni? A loro (e alla società) l’ardua sentenza.

Lo zoccolo duro del Cagliari che verrà ripartirà quasi sicuramente da Cragno, Ceppitelli, Pisacane, Romagna, Faragò, Ionita, Padoin e Pavoletti. Per il portierino rossoblù è arrivato il momento di consacrarsi come uno dei migliori portieri italiani in circolazione e con un altro anno a Cagliari tutto questo è alla sua portata. Ceppitelli è cresciuto tantissimo e si è guadagnato di diritto un posto nella prossima retroguardia rossoblù. Padoin e Pisacane oltre alla sostanza hanno dato ai compagni tanta sicurezza e carattere in un momento difficilissimo, mentre Romagna è il prospetto più interessante su cui investire. Faragò sulla destra è ormai una certezza. E Barella? Barella è davanti a una scelta definitiva, o prepara le valigie per tentarsi la grande avventura, o decide di prendersi il Cagliari sulle spalle e diventare il leader di questa squadra per almeno un’altra stagione. Al momento però il suo sacrificio pare irrinunciabile e le pressioni dei grandi club – dell’Inter su tutti – sono diventate una costante routine. Il ragazzo ha i numeri per sbarcare in Champions League e i 30 milioni richiesti da Giulini possono servire a puntellare tutti i reparti. Certo a costo di sacrificare il faro del centrocampo sardo. Attesissimi saranno alcuni giovani, da Colombatto ad Han, passando per Miangue. Lykogiannis si è ambientato e non è dispiaciuto e potrebbe essersi guadagnato una meritata “wild card” per la prossima stagione.

Cosa serve per la prossima stagione? Al Cagliari serve prima di tutto un tecnico, capace di pensare e proporre gioco, non per forza calcio champagne, ma almeno un’idea chiara e precisa di cosa si voglia fare in campo partita dopo partita. Servono sì 4 o 5 rinforzi di livello tra tutti i reparti, ma serve soprattutto la consapevolezza che quello appena terminato non è un semplice brutto sogno, ma un vero e proprio incubo, finito grazie alla sveglia suonata da qualcuno. E un altro ingrediente che serve c’è già, è quello splendido fiume di persone che ieri hanno invaso pacificamente la Sardegna Arena ricordando che Cagliari non è una piazza qualunque. “Una terra, un popolo, una squadra”, e non è solo uno slogan commerciale.

 

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