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Carnevale in Sardegna: mascheriamoci a Ovodda per su Mehuris de Lessìa

Ovodda, sos Intintos al femminile - Foto di Alessandra Lai, Fonte www.sardegnaturismo.it

Impazza finalmente il periodo più folle dell’anno e tutti i centri della Sardegna si popolano di volti mascherati, carri allegorici, sfilate e personaggi ancestrali, all’insegna del divertimento sfrenato e della tradizione. Non solo giovedì e martedì grasso, però. Tra i tanti festeggiamenti del carnevale, infatti, nell’Isola c’è spazio anche per usanze e tradizioni antichissime che proseguono perfino in Quaresima. È il caso di Ovodda, magnifico centro barbaricino, scrigno di particolari rituali carnevaleschi, in cui trasgressione, libertà e anarchia sono registi di un teatro spontaneo, nato per ricordare un passato di contestazione e rivolta, che si nutre di gioco e beffa. E allora proseguiamo il nostro giro sulla giostra del carnevale isolano che oggi ci porterà proprio lì, a Ovodda, per mascherarci e prendere parte a quell’antico teatro, in cui per essere attori è sufficiente annerire il viso con del sughero bruciato.

Ovodda, scorci de su Mehuris de Lessìa – Fonte www.sardegnainfesta.com

Quello di Ovodda è un carnevale speciale, diverso dagli altri festeggiamenti isolani, che ogni anno attira migliaia di visitatori, attratti da una festa comunitaria assolutamente spontanea, una festa travolgente che si discosta notevolmente anche dalle manifestazioni carnevalesche tradizionali dei vicini paesi barbaricini. Motivo? Si svolge in un giorno proibito. Il Mercoledì delle Ceneri, quando nel resto dell’Isola tutto è serio e severo, a Ovodda si fa baldoria, in un clima allegro di caos e follia, perché, qui, in questo giorno, è tempo de su Mehuris de Lessìa. È una giornata di trasgressione, un momento di forte condivisione della comunità ovodesse, simbolo di libertà e anarchia, dove tutti sono maschere, attori di un canovaccio improvvisato, in cui si esprime l’identità culturale locale e si rinnova la memoria di un passato di coraggio e ribellione popolare.

Ovodda, scene de su Merhuis de Lessìa – Fonte www.sardegnaturismo.it

In questa pittoresca giornata le vie del centro barbaricino si popolano di strani personaggi: sono “sos Intintos”, dispettosi individui che, abbigliati con lunghi pastrani neri e con il viso sporco di fuliggine, gironzolano per il paese, in groppa ad asini o tenendo al guinzaglio animali di ogni specie, e creano scompiglio e confusione, con urla, campanacci e rudimentali strumenti musicali. Alcuni di loro, “sos Intinghidores”, armati di polvere di sughero bruciato, “zinziveddu”, imbrattano il viso di coloro che incontrano lungo il cammino: un gesto che rappresenta il rituale di ingresso alla festa, di cui si accettano il caos e l’anarchia. “Intintos” e “Intinghidores” sono l’emblema della trasgressione, della libertà e del coraggio del popolo che si ribella al potere e all’autorità costituita: si uniscono in corteo e accompagnano in giudizio “Don Conte Forru”, simbolo dei poteri religiosi e politici che, al calar della sera, andrà incontro ad una tragica fine, quella delle fiamme e della morte. “Don Conte” è il personaggio principale del carnevale ovoddese, un fantoccio dalle sembianze maschili, brutto e osceno, fatto con uno scheletro di ferro e imbottito di stracci: indossa una lunga tunica colorata e il suo volto, che può cambiare di anno in anno, è realizzato con scorze di sughero o cartapesta. Talvolta può assumere caratteristiche ermafrodite, ma in genere ha sembianze maschili, con gli attributi sessuali piuttosto accentuati che, insieme al pancione, gli conferiscono un aspetto ridicolo: il fantoccio viene trasportato in processione per tutta la giornata, su un carretto trainato da un asino e addobbato con ortaggi o pelli di animali, e vaga per il paese senza un percorso prestabilito.

 

Durante su Mehuris de Lessìa, tutto è quindi legato al caso e alla spontaneità, un teatro estremo e irriverente, in cui gli ovoddesi rivivono momenti del passato, recuperano la memoria ed esorcizzano le fatiche della vita in modo liberatorio, abbandonandosi a urla, rumori assordanti, bevute collettive e danze.
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 Carnevale in Sardegna: Ovodda 14  
Il suono di un campanaccio dà il là ai festeggiamenti, ed è così che comincia la folle processione de su Mehuris de Lessìa, a cui tutti partecipano liberamente: nessuna regola, nessuna convenzione o percorso prestabilito, solo la voglia di libertà, di uscire dagli schemi e di trasgredire. Alcune maschere seguono il carretto di “Don Conte”, altre si disperdono per gruppi, altre ancora si perdono nella baraonda generale, vagando di casa in casa per chiedere la tradizionale questua, per poi ricomparire alla sera.

Nel frattempo, “Intintos” e “Intinghidores” dileggiano e accompagnano “Don Conte” che all’imbrunire, dopo aver subito un processo sommario, sarà condannato al rogo come capro espiatorio dei mali della comunità: in fiamme sul carretto, il fantoccio sarà condotto al ponte più alto del paese e scaraventato giù, tra grida “disperate” e canti osceni.

Pur avendo origini remote, la festa ovoddese de su Mehuris de Lessìa è di difficile interpretazione, poiché ha perduto il senso del rito ancestrale, tipico dei carnevali barbaricini: qui si rievoca non una divinità che muore per poi rinascere ciclicamente, ma un fatto storicamente accaduto. Si narra, infatti, di un certo “Don Conte”, un uomo potente e terribile, che molto tempo fa si impadronì di Ovodda e, solo dopo anni di soprusi, la comunità decise di ribellarsi, giustiziandolo. Se “Don Conte”, quindi, è simbolo dei poteri religiosi e politici – in passato interpretato dallo “scemo del villaggio” -, “sos Intintos” sarebbero i sudditi soggiogati che, ribellandosi, gioiscono per la libertà riconquistata: l’utilizzo de “su zinziveddu”, la polvere di sughero bruciato, è inoltre collegato a episodi di rivolta, probabilmente accaduti durante la dominazione spagnola, in quanto era consuetudine dei ribelli annerire il proprio viso per mimetizzarsi nell’oscurità. Un tempo, inoltre, le celebrazioni de su Mehuris de Lessìa – in cui il colore dominante era il nero -, erano un’esclusiva degli uomini, che si abbigliavano con indumenti vedovili e si abbandonavano a mille licenziosità, mentre le donne, fino agli anni ’70 del secolo scorso, erano escluse: oggi, per tramutarsi in “Intintos” sono concessi anche travestimenti stravaganti, anche se il viso annerito dalla fuliggine del sughero bruciato è una costante.

Ovodda, su Mehuris de Lessìa e il rogo di Don Conte – Fonte www.itenovas.com

Nonostante l’evento abbia subito, quindi, alcune trasformazioni, il carnevale ovoddese continua a svolgersi in un giorno proibito dalla chiesa, mantenendo intatto il suo significato, quello di carnevale dissacratorio nei confronti dell’autorità costituita, e la tragica fine di “Don Conte” è ancora un rito catartico che trasforma e rinnova la comunità. Una volta conclusosi il tragico epilogo di “Don Conte”, i festeggiamenti de su Mehuris de Lessìa proseguono sino a tarda notte, sulla piazza principale del borgo che diventa teatro di un ricco banchetto: intorno al fuoco, al ritmo di fisarmonica, la comunità e i partecipanti si dilettano con la musica e le danze de “su ballu tundu”. A Ovodda va in scena, quindi, un’allegra sarabanda, in cui il confine tra attore e spettatore non esiste: tutti diventano membri di una comunità che si allarga, che nasce libera dai ruoli e dalle convenzioni e che si nutre di divertimento trasgressivo ed entusiasmo.

Se volete diventare attori del travolgente teatro carnevalesco de su Mehuis de Lessìa, l’appuntamento è a Ovodda per il prossimo 14 febbraio.

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