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“Salviamo il Porto Canale”: Guida alla crisi del Porto Industriale di Cagliari per non addetti ai lavori

Porto Canale

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Il Porto Canale è morto, viva il Porto Canale. Nel terminal commerciale cagliaritano soffiano venti di crisi ormai da quasi un anno. La diminuzione del traffico di merci è innegabile, ma ci sono ancora i margini per attrarre a Cagliari investimenti e traffico navale. La ricetta che i sindacati mettono sul tavolo è un mix fra diverse iniziative: defiscalizzazione, creazione di un tessuto industriale e artigianale che crei intorno alla struttura le condizioni per la trasformazione delle merci nel capoluogo, sviluppo della cantieristica navale e adeguamento delle strutture alle esigenze dei nuovi scambi.

«Da aprile si registra un tracollo sempre più drammatico, frutto soprattutto del cambiamento delle dinamiche internazionali dei grandi colossi navali – spiega Massimiliana Tocco (Filt CGIL) – Tutte le compagnie navali sono state assorbite da tre grandi colossi che hanno deciso di ottimizzare i costi e i viaggi attraverso l’utilizzo di navi giganti (ognuna contiene l’equivalente di circa 4 navi normali) riducendo il numero dei viaggi ed ovviamente dei porti in cui effettuare le operazioni di Transhipment (smistamento dei container da navi più grandi a navi più piccole e viceversa, che portano le merci ai mercati finali)».

La perdita di concorrenzialità non riguarda soltanto Cagliari: «In Italia ci sono le tasse d’ancoraggio per le navi che arrivano, al contrario di quanto accade nel resto del Mediterraneo – spiega la Tocco – e a ciò si aggiunga che, se in Italia il costo del lavoro è di 21dollari/ora, nei porti del Nord Africa si arriva 3dollari/ora».

La crescita del traffico nel capoluogo non può però più far leva sulle crisi geo-politiche internazionali. La situazione nei paesi africani che si affacciano nel Mare Nostrum è in via di risoluzione, e i porti nordafricani tornano ad essere una meta appetibile per i giganti del trasporto navale. Fra questi anche il gruppo Contship Italia (detenuto a sua volta dal gruppo Eurokai) che possiede le aziende che gestiscono i terminal di Cagliari (con la CICT), Gioia Tauro, Spezia, Trieste, Salerno, Taranto e Tangeri.

Nonostante le iniziali rassicurazioni dell’azienda CICT e del gruppo CONTSHIP, che avevano rassicurato i sindacati sul fatto che stavano aspettando per stipulare nuovi contratti pluriennali,è tornata prepotentemente il gap che Cagliari sconta da troppo tempo: le difficoltà legate al fatto di essere in un’Isola:«Ci è stato spiegato che i tre grandi colossi navali stavano scegliendo i porti che potevano garantire un collegamento ferroviario del porto con i mercati del centro Europa. In poche parole – chiarisce la Tocco – prima le merci arrivavano via mare per essere poi smistate in navi più piccole, mentre ora viene richiesto che buona parte delle merci raggiungano la destinazione finale (centro Europa) tramite ferrovia».

Non bastasse l‘handicap dell’insularità, la carenza infrastrutturale ha fatto il resto: «Per lavorare quelle navi giganti si ha bisogno di una tipologia di gru adatta e più grande, del costo di circa 10 milioni di euro l’una (ne servono almeno 5), e, inutile dirlo, la Contship ritiene che sia un investimento a perdere».

Nessuno ha ricette con le quali si può contrastare la crisi, anche perché essendo in un libero mercato, si devono costruire le condizioni per essere concorrenti. Ma il pericolo che incombe sugli oltre seicento lavoratori del Porto Canale, necessità di soluzioni:« Lasciare il nostro destino nelle mani di un solo imprenditore, che può decidere la vita o la morte di un’intera area della Regione non va bene. E con questo non intendo dire che non si possa fare più “Transhipment puro”, ma che sarebbe opportuno creare anche qualcos’altro per sfruttare appieno le potenzialità del Porto».

Da qui i suggerimenti per venir fuori dalla crisi:«Un modo interessante di garantire il futuro sarebbe quello di fare in modo che buona parte delle merci sia destinato alla Sardegna, non ovviamente come consumi interni, ma magari come materie prime o semilavorati da lavorare nel nostro apparato industriale e artigianale, o merce da confezionare, per poi ripartire via mare verso le destinazioni finali». In una parola: diversificazione delle attività.

I sindacati sono già al lavoro con le istituzioni per cercare insieme una soluzione praticabile. Gli incontri il Sindaco della Città Metropolitana di Cagliari Massimo Zedda e quello costante con l’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna sono soltanto i primi passi:«Insieme al Sindaco Zedda abbiamo chiesto l’attivazione di un tavolo istituzionale con il Presidente della Regione Sardegna, con il Presidente della Camera di Commercio, Confindustria ed ovviamente Autorità di Sistema».

 

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