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Donne di Sardegna. Il coraggio di Mariangela Maccioni, la maestra nuorese che si batté contro il fascismo

Foto Cuore di Sardegna

Il fascismo, con i suoi metodi repressivi e violenti, era penetrato presto nella scuola. Circolari su circolari, si tentava d’imporre il regime in tutti gli ambiti scolastici. Divise, programmi, libri, festività, adunate: tutto era rigorosamente deciso. Alcuni insegnanti accettavano tutto senza fiatare, seppur a malincuore, per paura di ripercussioni, altri erano totalmente affascinati dal nuovo ordine che giungeva da Roma. Una cosa è certa: non molti si ribellavano.

La nuorese Mariangela Maccioni però, ricordata come maestra elementare e di vita, lo fece. Sa mastra Marianzela sfidò il regime, si impose come esempio di coraggio, di forza. Predicava la verità e l’uguaglianza. Non si fece spaventare ma perseguì i suoi ideali difendendoli con le unghie e con i denti.

Ma chi era Mariangela Maccioni?

Mariangela nasce a Nuoro nel 1891, precisamente il 17 aprile. È figlia di maestro Sebastiano, convinto socialista e fondatore della prima società operaia a Nuoro. È da lui che Mariangela eredita l’amore per l’insegnamento inteso come modo per arrivare alla verità, per perseguire la giustizia. In una casa piccola e spoglia ma ricca di cultura Mariangela cresce, coltiva il suo spirito ardimentoso, apre la propria mente. Presto si diploma e viene abilitata alla docenza. Il suo debutto la vede a insegnare a una classe di ben 90 bambini di prima elementare in un contesto difficile: scarseggiano sedie e banchi, inoltre questo è in un periodo difficile per l’insegnamento, la frequenza è talvolta pari al solo cinquanta percento. Già da questa prima esperienza è chiaro il suo spirito tenace, la sua voglia di cambiare il mondo.

Studia molto, è appassionata di filosofia e di politica, legge libri in francese e si perde nelle poesie sarde. Nel suo salotto – ricordato più come un circolo letterario –, lezioni di storia, letture impegnate, scambi di pareri a livello culturale.

Gli anni della prima guerra mondiale sono tristi, drammatici. Mariangela perde il padre e i due fratelli e rimane da sola con la madre Giuseppina, invalida a causa della cecità. In queste circostanze, sperimenta la consolazione che può donare la cultura.  La sua casa diventa presto focolare antifascista e i giovani continuano a cercare in lei parole di conforto e di verità.

Diviene ben presto amica dell’antropologo e intellettuale Raffaello Marchi. I due sembrano non avere le stesse catene mentali dei concittadini che, invece, iniziano sin da subito a inveire contro quest’amicizia fatta di lunghe passeggiate e di grande affinità culturale. Ben presto, per volontà della madre di Mariangela, i due si sposano. È comunque una mera formalità: Mariangela e Raffaello non si uniformano alla società né mai lo faranno in futuro.

Il regime fascista regna sovrano ma Mariangela non si fa spaventare, è convinta che ribellarsi sia la strada giusta e non ha paura di mettersi in gioco. Firma così la “Sottoscrizione Pro Matteotti”. Si rifiuta anche di andare alle celebrazioni per l’anniversario della Marcia su Roma. Viene costretta a insegnare sui testi del regime ma si rifiuta di parlare del fascismo in classe. Insegna Bandiera Rossa ai suoi studenti. La sua adesione al partito è formale, un modo per continuare a insegnare. Non dà la fede alla patria per principio. Comunque, nella sua lotta, non è sola: Marianna Bussalai e Graziella Sechi Giacobbe, sue amiche, combattono come lei. I fascisti non la lasciano nemmeno un secondo in pace: seguono i suoi spostamenti, leggono la sua posta, interrompono le sue lezioni, controllano le sue amicizie.

Poi, nel 1937, proprio il giorno del suo compleanno, viene perquisita e in seguito arrestata. Iniziano per lei 39 giorni di disperazione da trascorrere in cella in compagnia dell’amica, Graziella Sechi Giacobbe. Viene esonerata dal servizio, espulsa dal partito, messa al bando dalla vita pubblica. In qualsiasi modo tentano di piegare questa maestra ribelle e forte, coraggiosa e tenace.

Nel gennaio 1944 le è offerta la direzione della Biblioteca comunale Sebastiano Satta. Le viene anche concessa la riabilitazione all’insegnamento. La maestra continua così a insegnare, seppur con continue vessazioni.

Dapprima simpatizzante per il Partito Sardo d’Azione, Mariangela aderisce poi al Movimento Cristiano per la Pace. Nel 1948 si candida nella lista del Fronte Popolare, questo la esclude dai sacramenti provocandole immenso dolore. Nel 1953 chiede il collocamento a riposo, si dedica alla sua autobiografia “Il mio romanzo. La mia famiglia” – racconto corale sullo sfondo della crisi del Novecento in Sardegna, rimasto però incompiuto a causa della prematura morte della donna –.

Nel 1958 muore, la sua memoria viene però ricordata dal marito nel libro “Memorie politiche”.  Nuoro, però, non dimentica la maestra, esempio di lotta orgogliosa. Intitolata a lei, c’è la scuola media numero quattro.

Tratto da Memorie Politiche a cura di R. Marchi, Cagliari, Della Torre:

“Il nuovo direttore entrò dunque in classe, mi chiese il registro e iniziò l’ispezione.  Com’era lontano il tempo delle prime visite di controllo, quando la maestrina inesperta tremava alla presenza dell’autorità scolastica! L’ispezione procedette bene: le scolare lessero, scrissero, cantarono, recitarono con tranquillità e sicurezza.

Ed ecco dall’alto piove la domanda: «Chi è il duce?» Qualche voce rispose: «Mussolini.» Non piacque all’interrogatorio la risposta. Si rivolse a me: «Lei non ha spiegato chi è il duce?»

«Non l’ho creduto opportuno.»

«Perché?»

«Non mi pare bene parlare di queste cose a bambine di sei anni.»

«Come, non le par bene?» Agitò in aria in registro, ordinò: «All’uscita venga su in direzione.» E uscì, fulminandomi con gli occhi che aveva grossi e sporgenti. Mi attendeva con il registro piegato sul tavolino e il viso di un re indignato.

«Leggevo qui la sua cronaca. Vedo che ha dimenticato di segnalare le feste del regime.» Tacqui. «Il resto», proseguì scorrendo con gli occhi le mie annotazioni sull’andamento del programma e delle bambine «il resto è letteratura. Come mai non ha parlato alle sue scolare del duce?»

Volli essere prudente.

«Mussolini è un uomo politico» risposi «non mi pare che le bambine di una prima classe possano capirne gran che.»

«Come? Il duce è così umano, ha fatto tanto per i bambini! Il duce è un grand’uomo!»

«Ai posteri l’ardua sentenza» recitai, scandendo le parole.

«Come? Il duce non è un grand’uomo?»

«Ai posteri…» ripetei.

«Ebbene» disse solennemente «io le potrei dimostrare che si può benissimo parlare del duce alle bambine; ma sarà lei a fare la lezione sul duce.»

Forse sorrisi.

«Lei farà questa lezione entro una settimana, e se no…»

«E se no? Lei minaccia? Ebbene, sappia che io non cedo alle minacce. Non temo chi può uccidere il mio corpo, ma chi può offendere il mio spirito. E ora, se questa è la sua mansione, vada e mi denunzi al prefetto.»

Accolse la mia sfida impallidendo, e si alzò.”

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