Site icon cagliari.vistanet.it

Cagliaritudine. Barbour e mutino Carhartt, Hogan o Magnum. Ricordi di una moda dei primi anni 2000

La moda è una delle espressioni culturali di un popolo in un determinato momento storico. L’esigenza di esprimere ciò che siamo attraverso l’abbigliamento è il modo più diretto per affermarci come persone in una società. Lo sanno molto bene i giovani, spesso gli iniziatori di mode, in grado più di tutti di determinare il mercato di una determinata marca o prodotto. Ciò che in questo ambito è successo a Cagliari nei primi anni 2000 è una dinamica che si ripete nel tempo e che, quando la si ricorda a distanza di tempo, non può che scattare la nostalgia mista a divertimento.

Per le giovani adolescenti cagliaritane i tratti che facevano sempre la differenza in termini di “va di moda” erano l’ampiezza dei pantaloni, sia come larghezza totale che come larghezza della parte finale della gamba, la forma della punta delle scarpe con il tacco e la lunghezza delle gonne e dei vestiti. Partendo da questi tre punti di riferimento, si può sostenere che nei primi anni 2000 a Cagliari le ragazze facevano a gara a chi indossava i pantaloni con la “zampa” più larga (addirittura fino a coprire per intero la scarpa, ndr) e a chi aveva la punta delle scarpe con tacco più appuntita con le quali, come qualche saggio anziano aveva notato, “si potevano schiacciare le formiche negli angoli”.

Mentre l’ampiezza dei pantaloni delle ragazze aumentava sempre di più, fra i ragazzi iniziavano a diffondersi i primi segnali di uno strano e duraturo fenomeno che era quello delle mutande che fanno capolino dalla cinta dei jeans. Più che di un fenomeno cosiddetto di mobilità delle mutande, si trattava di un leggero abbassamento voluto dei pantaloni: più i pantaloni andavano rasenti alla cinta e più il giovane che li indossava si sentiva ed era considerato alla moda. La larghezza dei pantaloni variava, da quelli più tipicamente hip hop, quindi larghi, a quelli meno larghi e usati dalla maggior parte dei liceali cagliaritani. Questo modo di intendere i pantaloni, mettendo in mostra la biancheria intima, rimase in auge per diversi anni con picchi che videro i giovani scegliere una biancheria intima specifica perché, se tanto si doveva vedere, che fosse almeno di marca e potesse essere anch’essa un motivo di vanto.

    

Fra le ragazze, poi, intorno al 2002 iniziò a diffondersi l’uso dei pantaloni sportivi e delle maglie marca “Dimensione danza”; i pantaloni, in particolare, erano di tanti colori diversi e avevano l’inconfondibile banda elastica bianca con scritta colorata che riportava in grande la marca. La moda durò per qualche anno e per qualche serie di colori che la casa produttrice si inventò per vendere ogni volta dei pantaloni sempre diversi. Un’altra mania  furono gli zaini e zainetti in pelle della bottega artigiana “L’arca di Noè”, che confezionava borse di varie forme e colori ma che riuscì a fare breccia nel cuore delle adolescenti con la linea di zaini neri con l’immagine di un animale in versione cartoon cucita sul davanti. Non c’era ragazza a Cagliari che non ne avesse almeno una.

Nel mondo della moda unisex le proposte erano tante. Fra le calzature più amate c’erano le Dr. Martens – in voga già qualche anno prima e abbinate dalle ragazze ai jeans a zampa – seguite cronologicamente dalle tanto amate e criticate Hogan. Per un lungo periodo era passata poi la moda delle Magnum, scarpe sportive di in due diversi modelli che – come già accaduto anche per altri famosi capi di abbigliamento – sono state convertite ad un uso diverso da quello per le quali erano nate.

Dei giubbotti, il più ricordato e più a lungo considerato alla moda fu quello prodotto dalla marca inglese “Barbour”. Del Barbour si potevano avere diverse varianti di colore, dal nero al verde scuro, passando per il blu e il marrone; si poteva usare con o senza il famoso gilet di pelo sintetico marrone, che si acquistava a parte, facendo aumentare così il prezzo del giubbotto, già esageratamente alto per la sua stessa funzionalità. Per un lungo periodo, per ovviare all’acquisto del gilet di pelo, qualcuno adottò l’uso dell’altrettanto famoso “mutino Carhartt” (un giubbotto in tessuto tecnico simil muta, ndr), che si poteva poi usare da solo in primavera come semplice giacca. Ma il mistero che rimarrà per sempre irrisolto è il perché un giubbotto Barbour, nato per la caccia, cosparso di grasso di foca (così dicevano, ndr) e che per questo emanava un forte odore, che più che riscaldare accumulava il freddo e l’umidità esterna trasmettendola poi al suo indossatore, abbia conquistato il cuore di tanti, tantissimi, troppi giovani cagliaritani. I negozi più quotati nei quali trovare questi capi erano sicuramente quelli del centro città, come La casa dello sport in via Alghero, Sport shop in via della Pineta, Vela Shop, Castangia in via Garibaldi e via Manno e Costa Marras in via Garibaldi.

Anche gli occhiali entrarono a far parte dell’inventario del modaiolo cagliaritano. I più gettonati in questo periodo erano gli “Oakley”, disponibili in diverse forme e colori, con lenti a specchio. Chi li aveva, in realtà, li usava per lo più sopra la testa (le ragazze li usavano come ferma capelli, ndr), riducendo così la funzione reale di questi occhiali. Qualche anno dopo, in alternativa a questi occhiali iniziarono a circolare anche quelli “Gucci”, con forme varie, ma questa volta qualcuno li utilizzava come dei veri occhiali.

Fra i giovani cagliaritani e frequentatori della città, i concetti di eleganza e di corretto abbinamento di capi erano del tutto relativi. Si seguiva più che altro la regola del “Credo sia figo? Allora va.”. Fu così che in giro era molto frequente, al punto da diventare la norma o meglio “la moda”, vedere i ragazzi indossare giubbotti come quelli appena descritti e ai piedi delle scarpe sportive, o sneakers, in particolare da skateboard, come le “Airwalk” o le “Etnies”. La ciclicità della moda è un fatto sul quale non si discute e, sempre rimanendo fra le calzature sportive, c’era stato un periodo in cui tornarono di moda le “Nike Airmax” di vari colori, dal dorato all’argento (i più gettonati, ndr) ma c’era anche chi, più ardito, le indossava rosse o bianche. Un ritorno di fiamma che seguì quello delle “Gazelle Adidas” che si videro circolare in città in infinite combinazioni di colori e che attualmente pare siano di nuovo in voga.

   

 
Ogni stagione aveva le sue mode, ovviamente, e l’estate non era da meno. Per restare in tema di calzature, sia le “Airwalk” che le “Etnies” venivano usate da ragazzi e ragazze in particolare insieme ai bermuda al ginocchio (che se usavi la tecnica della cinta abbassata, arrivavano anche quasi a metà polpaccio, ndr) “Hot buttered”, acquistati rigorosamente da Sasha in via Iglesias, il negozio per eccellenza a Cagliari per Hip Hop e affini. Quando il caldo era all’apice, ma qualche temerario le indossava già gli ultimi giorni di scuola per sentirsi in vacanza, comparivano poi le infradito “Reef”, con modelli diversi per ragazzo e per ragazza. Una calzatura non solo da Poetto che, proprio per via della marca e del fatto che fosse poco colorata e lontana dalle solite infradito in gomma, riuscì a conquistare l’approvazione dei giovani modaioli nostrani.

 

Lacrime agli occhi? Potete asciugarle con un sciarpa “Burberry” a quadri beige e neri, se l’avete, o con una sua versione simile, visto che negli primi anni 2000 a Cagliari pare si vendessero solo di quelle!

Exit mobile version