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Agricoltori e allevatori in rivolta, nell’areale di Montevecchio-Costa Verde il Cervo Sardo sta diventando un problema per l’uomo

Agricoltori e allevatori in rivolta, nell’areale di Montevecchio-Costa Verde il Cervo Sardo sta diventando un problema per l’uomo.

Gli animali hanno fame e sete e sconfinano, causando problemi alle colture. Ovviamente la responsabilità non può essere dei cervi.

È facile trovarsi a distanza ravvicinatissima con un cerbiatto mentre si passeggia per le strade del borgo di Montevecchio, o scorgere un grosso cervo adulto col suo splendido palco di corna che fa capolino da una duna di Piscinas al tramonto. L’emozione è fortissima, si rimane stupiti e pieni di ammirazione. Ma esiste un pesante rovescio della medaglia. Fino agli anni ’40 il Cervo Sardo era diffuso in tutta la Sardegna e la Corsica, successivamente a causa della riduzione delle aree forestali, dell’aumento della frequenza degli incendi, e con l’intensificazione dello sfruttamento delle risorse naturali per le attività agricole e l’allevamento del bestiame, il numero di esemplari si ridusse drasticamente.

Nonostante dal 1939 fosse stato introdotto il divieto di caccia al cervo, alla fine degli anni ’60 si stimava una popolazione compresa tra 200 e 300 esemplari appena. Nel 1969 l’estinzione completa del cervo in Corsica spinse le autorità competenti in Sardegna a prendere immediatamente provvedimenti. Così iniziò un percorso di tutela che ebbe il suo apice negli anni ’80 quando il WWF acquisì la riserva di Monte Arcosu. Una serie di interventi mirati favorì l’incremento progressivo della popolazione fino ad arrivare nel 2005 a 6.000 esemplari allo stato libero in tutta la Sardegna. Purtroppo però quando l’uomo interviene sulla natura nel tentativo maldestro di imitarla ottiene sempre dei risultati insoddisfacenti, talvolta dannosi, come sta accadendo nell’areale di Montevecchio-Costa Verde. Nella zona infatti gli agricoltori e gli allevatori sono sul piede di guerra.

Attualmente sono presenti 1.500 esemplari che a causa della siccità e del gravissimo incendio di fine luglio che ha bruciato più di 2.000 ettari di macchia mediterranea e boschi, i cervi, si spingono fino alle zone coltivate e abitate, alla ricerca di cibo. Per proteggere i campi gli agricoltori ergono recinzioni sempre più alte e robuste, ma gli ungulati, affamati le distruggono e una volta all’interno dei campi, li devastano. Consumano il foraggio destinato al bestiame e sono portatori sani di Blue Tongue. Per non parlare del fatto che sono infestati dalle zecche e costituiscono un grave pericolo per la sicurezza stradale. La natura opera sempre mantenendo l’equilibrio tra le specie, coi suoi meccanismi perfetti non permette che una specie si riproduca eccessivamente rompendo questo equilibrio. L’uomo non è in grado di fare altrettanto e così prima distrugge l’habitat naturale condannando molte specie all’estinzione, poi cerca di rimediare in extremis con una protezione eccessiva che porta gli animali a riprodursi in maniera sproporzionata, nello stesso tempo non ripristina l’habitat naturale. Nel caso di Montevecchio poi, le persone disseminano i sentieri percorsi dai cervi di frutta e verdura fino alle abitazioni, per poter ammirare da vicino queste affascinanti creature, senza pensare che abituarli al contatto con l’uomo compromette la loro indipendenza e la loro selvaticità.  Il risultato di tutto questo è la guerra tra animali selvatici e agricoltori. Certo ognuno ha le sue ragioni, probabilmente vincerà l’uomo, però in quelle zone c’era prima il cervo…(Dalila)

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