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Addio Sant’Elia, l’ultimo chiuda la porta

Ci sono storie che non si possono raccontare in terza persona. Questa è una di quelle. È la storia di un luogo e come tale fatta di materia. In questo caso una storia di cemento armato prima, tubi in lamiera poi. E l’erba verde, qualche volta più tendente al giallo, sempre lì, nel mezzo. Bello il Sant’Elia forse non lo è mai stato, anche se c’è chi lo ha amato nella sua prima forma, quando immenso si stagliava davanti al mare attorno a un rettangolo verde piccolo e distante. I calciatori, i nostri beniamini, erano puntini piccoli piccoli, tanto distanti quanto inarrivabili. Anche Roberto Baggio nel 1993 per me bambino era un puntino. Un puntino con un ciuffo di capelli che dalla nuca ciondolava sul collo a ogni tocco di palla. Era il codino, il divin codino, e quella era la mia prima partita al Sant’Elia. Ma questa è una storia di eroi più semplici. Eroi di provincia che hanno vinto poche coppe, ma sono ancora chiamati per nome dai loro tifosi, come se fossero dei fratelli.

Daniele Conti e Diego Lopez salutano i tifosi nell’ultima partita al Sant’Elia

Daniele, Andrea, Renato, Gianni, Bobo o per meglio dire “Bum-bum”. C’erano tutti questa sera a salutare per l’ultima volta il Sant’Elia, la casa del Cagliari da ben 47 anni. C’era anche il presidente Tonino Orrù, quello che prima salvò il Cagliari dal baratro e poi lo portò in Serie A nel’91 insieme a Claudio Ranieri. Già, Sir Claudio, non poteva certo mancare in questa serata il timoniere dell’incredibile Leicester, che però a Cagliari è sempre rimasto l’eroe che trascinò i rossoblù dalla C alla A.

Claudio Ranieri

Certo, mancavano Gianfranco e soprattutto Gigi, ma è come se ci fossero anche loro. Per la cronaca la partita è finita 4-1 per il Cagliari All stars che ha sconfitto una squadra composta da alcuni tra gli ultimi calciatori che hanno sfidato i rossoblù da avversari al Sant’Elia. Da Chevanton a Barone, passando per Tiribocchi e Bertotto. A segnare per il Cagliari sono stati Conti, Cossu, Nenè e Suazo, quattro che a questo stadio rimarranno per sempre affezionati.

Di eroi veri e propri ce ne sono passati pochi, eppure quello stadio era stato costruito per una dozzina abbondante di eroi veri. Erano i miti dello Scudetto del ’70. Al boato del pubblico per il gol di Gori contro il Bari nel piccolo Amsicora, che regalò in quel lontano aprile il primo storico tricolore ai sardi, si era già capito che il Cagliari voleva diventare grande e che per farlo ci voleva una casa più grande. Anche se grande lo rimase per poco – maledetto fu quel terzino dell’Austria che ruppe il ginocchio a Rombo di Tuono – l’anno successivo venne inaugurato il nuovo teatro: un’arena mastodontica, capace di contenere fino a 70 mila spettatori. A quei tempi la differenza di prezzo tra un settore e l’altro significava, a fine partita, ginocchia stanche o riposate. Con il biglietto più economico la partita la si guardava in piedi.

L’inaugurazione del Sant’Elia

Il Sant’Elia non è mai stato schizzinoso. Ha ospitato il Cagliari in serie A, B e C senza alcuna distinzione. Certe volte si è stati stretti gli uni agli altri a pregare che gli attaccanti di Juve, Milan o Inter non fossero nella loro giornata migliore, altre a malapena si aveva un amico al proprio fianco quando sotto la pioggia si pareggiava contro l’Albinoleffe in un match salvezza nella serie B dei primi anni del millennio. E magari si stava più stretti in serie C, quando a Cagliari “scendevano” i cugini della Torres e per un giorno sembrava di vivere le atmosfere dei derby di Genova, Torino o Roma. C’è stato spazio anche per il girone più “pericoloso” dei Mondiali del ’90 quando in Sardegna furono destinate l’Inghilterra con i suoi hooligans e le sfide contro i rivali dell’Irlanda, l’Olanda e l’Egitto. Certo che vedere giocare Gullit e Van Basten al Sant’Elia fu una piccola consolazione per compensare il disordine in città causato dagli hooligans d’oltremanica.

Italia ’90 al Sant’Elia

Fu nella Coppa Uefa giocata nella stagione ’93-’94 che il Sant’Elia visse forse i suoi momenti più esaltanti, in una febbre da tutto esaurito difficile da replicare negli anni successivi, se non nelle sfide di cartello contro le grandi del nord. Poi insieme alla pay-tv arrivarono gli anni bui. Gli spalti si svuotarono e si riempirono i divani. Quello stadio a doppio anello da 40 mila posti iniziò a sembrare troppo ingombrante e all’eccentrico presidente Cellino, in occasione del ritorno di Gianfranco Zola e della scalata verso la Serie A dopo anni neri in fondo alla classifica di Serie B, venne un’idea: avvicinare i tifosi ai propri beniamini. Fecero la loro comparsa tre spalti in Dalmine, sorta di tubi di lamiera molto resistenti e di facile montaggio che, fatta eccezione per alcune fasi di esilio tra Olbia, Trieste e Quartu Sant’Elena, furono la soluzione che consentì ai rossoblù di giocare nella propria casa fino a stasera.

In panchina e in campo Claudio Ranieri, Agostini, Bellini, Cappioli, Conti, Coppola, Cossu, Dessena, Festa, Fini, Jeda, Lopez, Muzzi, Fini, Matri Nainggolan, Oliveira, Pulga, Suazo, Villa, Barone, Canini, Gobbi, Pinna, Legrottaglie, Rastelli, Pellissier, Tiribocchi e Chevanton. Hanno fatto per l’ultima volta quello che si è fatto su quel prato per 47 lunghi anni: hanno giocato a pallone. Poi qualcuno ha regalato maglietta e i pantaloncini ai vecchi tifosi, altri hanno fatto un giro del campo con i propri figli, altri ancora hanno guardato per l’ultima volta quella curva sotto la quale sono andati ad esultare per i gol più importanti.

Poi l’ultimo dei custodi, dopo aver raccolto un sassolino da terra da conservare per sempre in una teca, è uscito dal cancello che dai Distinti guarda verso il nuovo stadio temporaneo. Dopo aver chiuso il lucchetto, si è messo a pensare a quel giorno di tanti anni fa in cui suo padre lo prese per mano e lo portò a vedere la prima partita di calcio della sua vita. Ecco, questo è il Sant’Elia per tutti noi, un luogo dove non ci siamo mai dimenticati di quando siamo stati bambini.

 

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