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Simone Tondo, lo chef sardo allievo di Petza che con i suoi piatti sta facendo impazzire i Parigini

Simone Tondo, lo chef sardo allievo di Petza che con i suoi piatti sta facendo impazzire i Parigini. Ha rilevato La Gazzetta di Petter Nilsson, ha cambiato il nome (semplicemente “Tondo”) ma il livello è rimasto lo stesso, anzi pare sia persino salito.

“Identità golose” e “Passione gourmet” ci offrono le nuove sul giovane chef che ha avuto Andreini e Petza come maestri.

Lo avevamo lasciato al suo Roseval, locale che aveva infiammato la scena parigina registrando un consenso di pubblico oltre ogni più rosea aspettativa: ceduto, alla ricerca di nuovi stimoli (ora Roseval è diventato Dilia, altro successo targato Italia in mano a Michele Farnesi).
Lo ritroviamo al 29 di Rue de Cotte, in questo locale mitico rinominato semplicemente “Tondo”.

Sardo di Macomer, classe 1988, Simone Tondo ha chiuso l’alberghiero ad Alghero nel 2008, lì rimane per altri 2 anni e mezzo a farsi abbagliare dal mestiere di Cristiano Andreini, un professionista che cucina (oggi a Mosca) in modo antitetico rispetto a Roberto Petza da Cagliari, il secondo grande maestro di Simone. Cristiano&Roberto, ovvero il nord e il sud, la tecnica versus la perizia artigiana, due modi stupendi e diversissimi per osservare la Sardegna culinaria avanguardista.

Due brevi e intensissimi stage (Cracco 2008 e Mirazur con Mauro Colagreco nel 2009) sono la premessa per la scelta fin qui più felice del ragazzo: andare a Parigi. Nel dicembre del 2009 alimenta il mito di Rino (ora chiuso) al fianco del romano Giovanni Passerini: sous-chef, chef e una stamberga con cucina minuscola e tavoli ravvicinatissimi. «Ma è così che capisco che tipo di cucina voglio fare: a contatto con la gente. Perché parlando capisci tutto meglio». Tanta gavetta, il contatto continuo con i clienti, un aiuto dal padre (e dalle banche), e rileva il Roseval. Il resto è storia recente, con la nuova esperienza: quella del Tondo, un po’ osteria italiana, un po’ gourmet.

Locale bello, più curato rispetto al Roseval (meraviglioso il pavimento e i tavoli in marmo), ma anche più grande, più impegnativo nella gestione.

La proposta è rimasta la stessa: menù fisso per tutto il ristorante, con solo due opzioni tra 4 portate a 45 euro e 7 a 60 euro. A pranzo una conveniente proposta a 25 euro. Gli ingredienti per fare bene ci sono tutti: un cuoco di grande talento, un bel locale e una squadra di livello, con il reparto vino seguito da Jos Kjer, sommelier proveniente dall’altro locale mitico del fenomeno bistronomie, lo Chataubriand. 

Gourmet ma anche semplicità:

Inizio con influssi orientali: brodo/dashi.

Appetizer.
Sgombro, salsa verde e oxalis.
Focaccia.
Zuppa di crescione e calamari crudi.

Arrosto di sottofiletto, cipolle marinate, foglie di mostarda e pepe nero.

Astice, funghi, crema di funghi, mizuna.
Primo colpo di alto livello. Abbinamento perfetto, grande eleganza, concentrazione di sapori. La strada è questa.

Un tocco di Sardegna: ravioli di farina di riso con spinaci, ricotta e pomodoro.

Anatra, purè di olive, uva acetata, cavolo nero.
Gran piatto in ogni dettaglio. L’apice della serata si tocca nel piatto più complesso e completo e questo è un ottimo segnale. Simone Tondo è indubbiamente un grande cuoco.

Flan di yogurt di e mango: manca l’apporto del mango.

Torta cioccolato, pralinato e salsa al mandarino: torta semplicissima ma eseguita divinamente. Morbido/croccante, amaro/dolce, un pizzico di acidità. Ottimo.

Anjou Mosse 2015.

 

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