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Suggestioni, sogni e tradizione: le maschere di Massimiliano Vacca

maschereMassimiliano Vacca, odontotecnico selargino, realizza maschere in DAS (“spesso le persone non ci credono, ma è il materiale che più di tutti mi permette di esprimermi”) da ormai più di quindici anni. Una produzione che conta ormai centinaia di manufatti, raffiguranti fate, animali, demoni e personaggi impossibili da collocare con precisione in un genere o anche soltanto in una realtà precisa, presentati e apprezzati in mostre allestite in diverse città d’Italia.

Massimiliano, la sua è una professione dalla quale ha potuto attingere per quanto riguarda le tecniche di costruzione. Come e quando, però, è nata la prima maschera?

Per caso, ed è un aneddoto che racconto sempre con piacere. Tutto è iniziato nel 1998, quando la varicella costrinse a casa me e i miei due figli. Va detto che subisco da sempre il fascino delle maschere, e che – pur non avendo una gran mano – mi piace dedicarmi al disegno. A ogni modo, allora, l’obiettivo era trovare un qualcosa che mi permettesse anzitutto di intrattenere i bambini, e acquistato del DAS cercai di insegnare loro il piacere del plasmare qualcosa con le proprie mani. Siamo arrivati così, insieme, alle prime maschere, di piccole dimensioni, e per quanto non siano di certo le più belle che io abbia realizzato, le conservo ancora. Molto gelosamente.

Una produzione che via via si è accresciuta, e che conta ormai diverse centinaia di maschere. A cosa si ispira?

Le mie maschere sono pura fantasia. Capita che si rifacciano alla cultura sarda, certo – penso al Pundaccio, il folletto dalle sette berrette della cultura sarda, che ho ripreso discostandomi però dalla rappresentazione tipica –, ma si tratta essenzialmente di suggestioni, immagini che la tradizione stessa non definisce con precisione, che faccio mie e rielaboro secondo quello che è il mio istinto. Un esempio è quello delle Janas, figure note per la loro saggezza e tradizionalmente conosciute con nomi propri. Io ho ripreso questa loro natura, ma ho dato loro nomi di donne che ritengo abbiano fatto la storia della Sardegna: la grande artista Maria Lai, l’antropologa Dolores Turchi, e la maestra del bisso Chiara Vigo.

Quali sono le fasi di realizzazione?

Personalmente, progetto di rado. Capita di buttar giù qualche bozzetto, ma più frequentemente sfrutto qualche fotografia o immagine, recuperando quei particolari elementi che mi suggeriscono qualcosa. Lavoro poi in positivo, e modello sopra dei supporti in plastica; ottenuta la forma, attendo si sia essiccata e ricavo il prodotto.

Da quelle mascherine realizzate con i suoi figli alle prime esposizioni: qual è stata la svolta?

Un giorno, durante una visita a casa mia, un amico pittore ha notato alcune maschere appese alle pareti, e mi ha proposto di allestire una mostra insieme. Grazie al suo invito, e all’incoraggiamento di mia moglie, nel 2000 ho vissuto il piacere della prima esposizione. C’è stata poi la svolta di Pontedera, dove quello che è ormai un amico allestisce da anni una mostra d’arte contemporanea nella sua carrozzeria, e da lì – grazie alla rete di conoscenze che è andata costruendosi, e alle possibilità di conoscenza offerte dal sito Equilibriarte – è stato possibile definire altri due punti d’incontro: Napoli prima e Selargius poi.

Più di quindici anni da quella prima esposizione. Ha un’idea di quante maschere ha realizzato da allora?

Circa trecento, e tutte diverse. Spesso i modelli sono simili, ovviamente, ma ognuna ha una storia, una personalità e un nome, che ho sempre cura di precisare in appositi cartellini in occasione delle mostre. Dietro ciascuna c’è un mondo, un mio sogno – talvolta inquietante –, e solo chi ha la sensibilità necessaria riesce a cogliere quello che voglio trasmettere. Per fortuna, questo capita di frequente.

Pordenone, Napoli e Selargius: ritiene che il riscontro ottenuto sia stato diverso, nelle varie realtà? Non solo rispetto alla sua produzione specifica, ma relativamente alla sensibilità per l’arte in generale?

Soprattutto dall’ultima esperienza di Napoli sono rientrato con addosso una particolare soddisfazione, è vero. Riflettendo sulla diversità del riscontro, però, ritengo che si tratti semplicemente di un’ovvia differenza data dallo spostarsi. Mi spiego meglio: se si rimane ancorati unicamente a quella che è la propria realtà, circondati da conoscenti, parenti e amici, è difficile che questi riescano a distaccarsi tanto da poter osservare i tuoi prodotti senza pregiudizi. Dopo le prime esperienze e i primi risultati lontano da casa, per esempio, ho notato che anche qui il modo d’approcciarsi alle mie maschere è cambiato.

Foto di Paolo Vitale e Massimiliano Vacca 

 

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