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Le mille sfumature di Gianni Marilotti: scrittore, insegnante interessato alla politica, con un occhio rivolto al social

Gianni Marilotti, insegnante di storia e filosofia e scrittore, vive e lavora a Cagliari. Ha vinto nel 2003 il Premio letterario “Italo Calvino” con l’opera “La quattordicesima commensale” pubblicata poi con la casa editrice Il Maestrale, vince anche il Premio nazionale “Marisa Rusconi”.

Nel 2013 arriva il suo secondo romanzo, “L’Errore” (Il Maestrale). Il terzo esce nel 2014, “Il conte di Saracino” (Arkadia Editore). Cura diverse pubblicazioni di carattere storico-politico. È uno degli autori di “Italia e Nord Africa” (Carocci Editore). Fondatore e presidente dell’associazione culturale Mediterranea. Da qualche anno, inoltre, svolge la funzione di Consigliere onorario per minori presso la Corte d’appello del Tribunale di Cagliari.

Insegnante al liceo, scrittore, fondatore e presidente dell’associazione culturale Mediterranea, Consigliere onorario per minori presso la Corte d’appello del Tribunale di Cagliari. Come fa a conciliare il tutto?

Con un po’ di organizzazione si può fare questo e anche di più. Naturalmente, a parte l’ insegnamento che è il mio lavoro, le altre attività non mi assorbono nella quotidianità. Se organizzo un convegno non scrivo e riduco al minimo le altre attività. E viceversa.

Con “La quattordicesima commensale”, suo esordio per quanto riguarda la narrativa, ha vinto il Premio letterario “Italo Calvino” e il Premio nazionale “Marisa Rusconi”. Si aspettava questo successo?

Francamente no. Fino a quel momento nella vita avevo fatto altro (politica, impegno sociale e culturale, scritto saggi storici o di filosofia politica). La quattordicesima commensale l’ avevo scritto come divagazione. Non pensavo di essere annoverato fra gli scrittori della nouvelle vague sarda.

Dopo il fortunato esordio, arrivano “L’Errore”, “Il conte di Saracino” e “Delitto alla Cattolica” – tutte accolte in modo molto positivo dalla critica –. A quale delle sue creazioni si sente più affezionato?

Sono momenti diversi della mia vita. Il primo romanzo non si dimentica mai: l’ho scritto col cuore e con grande passione. Con gli altri, a mio parere, sono andato in crescendo, migliorando notevolmente la qualità della scrittura. La scrittura creativa è fatica ma anche felicità, dunque i lavori che più mi emozionano sono quelli in cui sto lavorando ora.

Ne “Delitto alla Cattolica” viene riportato a galla un vecchio caso irrisolto. Come ha saputo unire quella che è la cruda realtà con la sua fantasia?

Nei miei romanzi ho sempre cercato di calare le storie all’interno di un preciso quadro di riferimento storico-sociale. Così è stato per “La quattordicesima commensale” nel quale le vicende della protagonista (la piccola storia frutto di fantasia ) si intrecciano con la storia italiana degli anni di piombo (ricostruita fedelmente); o ne “L’Errore” dove il disagio sociale e l’emarginazione vengono presentati non come condanna definitiva, ma come possibilità di riscatto, sebbene di difficile attuazione. Ne “Il Conte di Saracino” lo sfondo è la Sardegna dell’interno, spopolata e degradata, con molti paesi in via di estinzione, con il protagonista Peppe Tolu che attua una nuova forma di resistenza per impedire questa deriva. Ne “Delitto alla Cattolica” ho voluto affrontare uno dei tanti delitti rimasti senza colpevole della storia dell’Italia. Un delitto efferato che mi ha colpito per la sua insensatezza e apparente assenza di scopo. Ho dunque intrecciato una storia di fantasia con la ricostruzione fedele di quel delitto, fino a formulare un’ipotesi, che non ha alcuna pretesa di verità, ma che serviva a mantenere la memoria su questo come su altri crimini che non hanno trovato giustizia.

Viene fatta, sempre nello stesso romanzo, una critica al moderno sistema editoriale. Ci può spiegare?

Più che una critica al sistema editoriale nel suo complesso ne “Delitto alla Cattolica” mi soffermo su alcuni aspetti di quel sistema, particolarmente evidenti e fastidiosi, come ad esempio l’ossessione sugli aspetti commerciali spesso a scapito della qualità del prodotto letterario. Mi riferisco ad esempio alla ricerca del personaggio famoso nel
mondo dello sport o dello spettacolo, della politica o della cronaca nera o rosa proposti come improbabili autori di romanzi o testi di genere memorialistico che, a dispetto della scadente qualità, comunque vendono ovviamente più per il loro nome che per quello che scrivono. È vero che nel mio romanzo alcuni di questi personaggi vengono
ridicolizzati, ma ve ne sono altri, ad esempio l’anziano editor in pensione, che è il personaggio che mi sta più a cuore, che emergono in tutta la loro sottile grandezza.

L’ispirazione per scrivere. Arriva tutta all’improvviso, nel suo caso, o è qualcosa che matura giorno dopo giorno?

Nel mio caso non arriva all’improvviso. Vi sono delle storie che mi hanno sempre affascinato e che mi porto dietro da una vita. Poi arriva il momento di metterle sulla carta ed è un lavoro lungo e paziente. Quando è il momento di scrivere mi isolo da tutto e da tutti. Non leggo giornali né guardo la tv. È il momento della full immersion.

C’è qualche rituale che ritiene le sia necessario per scrivere? Un posto, una stagione, un orario?

Quando la storia preme per uscire dalla tua testa è il momento di scriverla a qualunque ora e in qualunque stagione. Ogni ora e ogni stagione ha naturalmente i suoi punti di forza e le sue contraddizioni, bisogna tenerne conto. Ad esempio se la mattina devo essere lucido in classe a scuola non posso lavorare a un romanzo la notte prima fino
all’alba (come mi piacerebbe fare).

La passione per la scrittura è qualcosa che si porta dietro fin da quando era bambino?

No, da bambino ma anche da giovane ho avuto altre passioni come il calcio e la politica. Leggevo e leggo molto, questo sì, un po’ di tutto: romanzi, saggi, poesia, ma mai avrei pensato di scrivere romanzi. Scrivevo relazioni, saggi di carattere storico- politico. Ho iniziato a scrivere romanzi più tardi e da quel momento, compatibilmente
con i miei impegni, non ho mai smesso.

Che rapporto ha con i lettori?

Normale ma non troppo ravvicinato. Mi imbarazza ricevere complimenti, ovviamente mi infastidisce ricevere critiche. Credo di avere qualche estimatore ma nessun fan. Ho invece un grande rapporto col lettore ideale, essendo anch’io un lettore, il quale è un costante punto di riferimento quando scrivo, mi stimola e mi critica, mi incoraggia e mi mette in guardia.

Quando inizia la stesura di un nuovo lavoro, conosce già la struttura base e la conclusione o queste cose arrivano mano a mano che va avanti con la trama?

Quando inizio a scrivere ho già ben chiara la struttura del romanzo e la sua articolazione. Qualche volta mi capita di cambiare qualcosa in corso d’opera. Succede che i personaggi che hai creato ti prendano la mano e ti portino dove non avevi immaginato all’inizio. Allora devi ricalibrare tutta la storia sulla base di queste novità. Una faticaccia, ma piacevole.

Lei, poiché insegnante, sta molto a contatto con i giovani: c’è qualcosa che vorrebbe che gli adolescenti di oggi non dimenticassero mai?

Di essere sé stessi pur nei cambiamenti che le stagioni della vita ti propongono. Il rispetto di sé e degli altri sempre, anche quando le divergenze di pensiero sono molto grandi. E poi di essere figli di questa terra, la Sardegna, dovunque si trovino a vivere.

 Ha in mente nuovi progetti?

Nel campo della scrittura vorrei tornare al romanzo storico, in quello sociale vorrei combattere le nuove povertà, l’emarginazione, il fatalismo; in campo culturale vorrei fare di più per contrastare ogni forma di razzismo o di discriminazione. Infine in quello politico strenua difesa dei diritti e dei valori della Costituzione. Insomma ero e rimango, nonostante tutto, un uomo di sinistra oltre che un democratico.

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