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La storia di Antonio Doa, il pastore di Arzana rapito dai corsari e liberato dopo una lunga prigionia

Le coste della Sardegna tra  XVI  e la fine del XIX secolo subirono continui attacchi e saccheggi da parte dei corsari barbareschi.

Terribili razzie influirono notevolmente sull’economia e sulla vita delle popolazioni delle zone vicine al mare – ma anche di quelle dell’entroterra – con i sardi letteralmente atterriti dai “Mori”, tanto che alcune zone hanno preso il nome da vicende legate avvenute in tale periodo storico.

Sono diverse i racconti e gli aneddoti giunti fino a noi, come la vicenda del pastore di Arzana, Antonio Doa – “Su Turcu” -, che venne rapito dai corsari, di cui parla nel suo libro “Corsari e pirati nel mare d’Ogliastra” lo scrittore Ivan Marongiu.

L’arzanese fu sequestrato dai “Mori”, mentre pascolava il suo gregge di pecore nei pressi della località “Punta Niedda” nel territorio di Bari Sardo, in un periodo nel quale aveva portato i suoi animali a “svernare”.

Trasportato nelle coste del Nord Africa, rimase a lungo prigioniero, tanto da apprendere la lingua e assumere i comportamenti della popolazione locale.

Durante questo periodo, nella zona scoppiò una tremenda pandemia di peste suina, e per arrestarla impedendo il contagio agli altri animali, gli abitanti sotterravano le carcasse degli animali infetti.

Il povero Doa nella condizione di schiavo e spinto dai morsi della fame, diseppelliva i maiali e se ne cibava. Quando l’uomo fu scoperto, gli abitanti che secondo la religione musulmana non potevano mangiare la carne suina, preoccupati dal gesto sacrilego e le possibili sciagure che avrebbe arrecato, decisero di liberare il prigioniero per scongiurarle.

Così l’uomo fu riportato dai pirati in Sardegna, nella stessa località dove venne catturato. Quando fece ritorno ad Arzana, a stento i familiari riuscirono a riconoscerlo e a capire quanto diceva, per via della lingua in cui si esprimeva – molto probabilmente era molto giovane quando cadde in mano ai “Mori” -. Però appena venne chiarito che si trattava di Antonio Doa, tutta la comunità arzanese lo accolse calorosamente e si strinse attorno al proprio compaesano.

Per il pastore ricomparso dopo così tanto tempo fu coniato l’appellativo di “Su Turcu” che si portò dietro fino alla sua morte.

 

 

 

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