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Pandemie d’altri tempi: quando nel 1652 la peste e il terrore sbarcarono in Sardegna

Pandemie d’altri tempi: quando nel 1652 la peste e il terrore sbarcarono a Cagliari. Nell’aprile del 1652 la peste arrivò in Sardegna ad Alghero, importata da una nave carica di mercanzie partita dalla Catalogna dove era in atto un’epidemia di peste bubbonica. Da lì a Cagliari.

Simbolo di quel periodo fu il Lazzaretto di Sant’Elia, un luogo in cui la malattia non guardava in faccia a nessuno ed in cui la morte era la forma più alta di eguaglianza sociale.

Edificato fuori dalle antiche mura della città, nel corso del XVII secolo, in quello che oggi è il quartiere di Sant’Elia, il Lazzaretto è stato una delle infrastrutture sanitarie più importanti e purtroppo frequentate di Cagliari.

La sua funzione era quella di ospitare i malati di peste bubbonica affinché potessero miracolosamente guarire: il più delle volte i pazienti venivano ricoverati nella struttura nell’attesa di trovare la morte. Si trattava di un luogo angusto e malsano per tutti coloro che vi erano in obbligo o in dovere di entrarvi. Spesso capitava che i medici prendessero il virus dai pazienti passando così dal ruolo di specialisti nel curare quel male, a quel ruolo che purtroppo occupavano tutti gli “ospiti”, ovvero di malato terminale. Il Lazzaretto, ma più in generale i lazzaretti sparsi per l’Europa si configuravano più come dei catalizzatori della malattia piuttosto che luogo d’ausilio in cui combatterla. Chiunque arrivasse sull’isola via mare doveva affrontare un periodo di quarantena che perlopiù esponeva il malcapitato ad un rischio di infezione elevatissimo, lo rendeva un nuovo veicolo di contagio.

Molti personaggi scomodi venivano rinchiusi all’interno pur non avendo contratto la peste, in modo da “levarli di mezzo” in un modo che a tutti paresse frutto del caso, della malasorte.

Si potrebbe erroneamente pensare che la struttura fosse destinata al popolo, ai poveri … che i ricchi invece potessero affrontare il male del secolo in strutture più accoglienti se non a casa loro; non andò in questo modo, infatti vi trovavano ricovero sia ricchi che poveri, sia contadini che personalità di spicco. Solo in tempi più recenti, intorno ai primi del ‘900 fu costruito un piano rialzato in cui venivano ricoverati i membri delle classi più alte. Diverso era il trattamento dopo la morte: chi non poteva permettersi una degna sepoltura per sé o per i sui cari, veniva abbandonato alle correnti marine che conducevano i corpi privi di vita nell’ingresso della Grotta dei Colombi. Per i più abbienti vi erano delle fosse comuni o tombe private: era assolutamente esclusa la cremazione in quanto ritenuta veicolo di trasmissione del virus tramite i fumi sprigionati.

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