Catalina Lay, la levatrice seuese condannata per stregoneria dall’Inquisizione
Venne giudicata a Sassari nella piazza “Carra Manna” nel 1583 con l’accusa di essere una strega. Dopo varie torture confessò di essere colpevole di tutti i capi di imputazione. Catalina Lay fu condannata a duecento frustate, oltre ad altre umilianti pene, e incarcerata per sei anni. Nel suo paese natio è ricordata nel percorso museale Sehuensis in “s’ Omu ‘e Sa Maja”, dove alla levatrice è dedicata una sezione in cui è ricostruita e narrata la sua storia. Affinché il triste destino di Catalina e di tante altre vittime dell’Inquisizione non venga cancellato dall’oblio del tempo.
Catalina Lay era una levatrice seuese del 1500, in “Limba” una “maista de partu”, che fu arrestata dall’Arcivescovo di Cagliari con l’accusa di essere una strega e successivamente processata a Sassari.
Fu una donna che pagò a caro prezzo le sue competenze e la sua abilità nel coadiuvare le donne nel parto, così come le conoscenze tramandate da generazione in generazione sull’uso dei medicamenti naturali e il potere degli antichi “abrebus” (le parole proibite dei riti magici religiosi).
Infatti non era raro che all’epoca fossero perseguitate le levatrici, bastava un’accusa ingiustificata mossa da chiunque per portare una di queste davanti al giudice inquisitore.
In un’epoca nella quale la mortalità infantile era molto alta, le capacità di Catalina erano rispettate e temute allo stesso tempo, quasi potesse avere un invisibile potere di vita o di morte sul nascituro.
Sulla vita della levatrice di Seui non si hanno molte notizie, solo che fosse una donna di mezza età e avesse dei figli. Si ritrovò a Sassari tra il 14 o 15 agosto del 1583 ad ascoltare la sua condanna a sei anni di reclusione, duecento frustate e altre terribili pene. Insieme a lei nella piazza “Carra Manna” (oggi Tola) altre otto povere donne condannate per reati di stregoneria, e umiliate davanti ad un’immensa folla.
Catalina aveva confessato tutto nei giorni precedenti dopo indicibili torture, confermando ogni parola delle accuse mosse dai suoi aguzzini. Confermò di avere legami con spiriti sovrannaturali, di incontri con il diavolo durante la notte e di partecipare a riti propiziatori in determinate località del paese.
Il maligno le sarebbe apparso con varie sembianze umane e animali, e inoltre più volte si sarebbe concessa carnalmente a lui. Sarebbe stato il diavolo a spingerla ad uccidere i neonati, che soffocava premendo con il pollice sotto il mento, facendo pensare fossero nati morti.
Confessò anche di introdursi durante la notte nella stanza dei bambini, che avrebbe prima soffocato e dai quali succhiava il sangue per poi miscelare con altre sostanze per realizzare degli unguenti per riti magici.
Tra questi una pozione che le avrebbe permesso di trasformarsi ed entrare nelle case delle piccole vittime.
Dopo l’autodafé a Sassari, la cerimonia pubblica nella quale fu eseguita la penitenza e decretata la condanna, non si hanno più notizie di Catalina. Pertanto si è all’oscuro se sia riuscita a sopravvivere agli anni di carcere. Così come è avvolto nel mistero se abbia o meno fatto ritorno al suo paese, dove furono confiscati tutti i suoi beni.
A Seui la tragica vicenda umana della levatrice non è stata dimenticata, e nel percorso museale Sehuiense gestito dalla locale Cooperativa S’Eremigu, le è stata dedicata una sezione in “S’Omu ‘e Sa Maja”. L’edificio storicamente documentato della fine del 1600, nel quale fu scoperta una testimonianza di magia bianca, ospita varie collezioni museali legate al mondo magico religioso e alle antiche tradizioni precristiane della zona.
Un atto di giustizia per tenere viva la storia di Catalina, affinché non venga reciso il filo della memoria di tante donne vittime dell’Inquisizione, passate alla storia come streghe.
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