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Nuovo Dpcm, un pensiero diffuso: Conte e il Governo se ne sono lavati le mani?

Il commento che va per la maggiore sul nuovo Dpcm varato dal Governo Conte, sia tra l’opinione pubblica, sia tra le grandi firme dei principali quotidiani, è sostanzialmente unanime. Il governo nicchia e ha preso un’unica decisione: non prendere decisioni. Questo in estrema sintesi il giudizio dei critici.

Scelte pavide che confermano in blocco quanto già previsto dal precedente decreto, fatta eccezione per alcune limitazioni orarie in più riguardanti il mondo della ristorazione e lo stop a sagre (molte delle quali si erano già poste in “autoisolamento), eventi e gare di sport dilettantistico. Per palestre e piscine c’è stato una sorta di “rimandati tutti a settembre”, dove per “settembre” si intende la prossima settimana. “O fate i bravi o chiudiamo anche voi”, questo il concetto riformulato in gergo da bar sport.

La scuola resta avamposto o “frontiera della libertà”, per usare le parole di Ezio Mauro su Repubblica. Il Governo non arretra di un millimetro facendo passare la “linea Azzolina”: scuole aperte e protocolli da seguire in maniera rigida. Facendolo ribadisce l’importanza della scuola come motore della ripartenza, ma sottovaluta i problemi contingenti che anche in Sardegna si riscontrano quotidianamente, a partire dalle carenze nel settore dei trasporti, con i ragazzi che viaggiano sui bus senza un adeguato distanziamento. Viene incoraggiata l’adozione di sistemi flessibili, come l’introduzione di turni serali e viene spostata la lancetta oraria alle 9 per evitare la sovrapposizione sui mezzi di studenti e lavoratori. Peccato che in molti istituti sardi queste eventualità sono già in vigore per sopperire alle carenze strutturali, al netto dell’emergenza Covid-19.

Decisioni – è giusto ribadirlo e sottolinearlo – dettati da una questione che appare ormai chiara a tutti: l’Italia non si può permettere un nuovo lockdown, né in termini economici (il Belpaese sta registrando i primi incoraggianti segni di ripresa), né per quanto concerne il “sentire comune”. Una nuova chiusura totale non sarebbe accettata di buon grado da una larga fetta della popolazione, con potenziali ricadute negative in termini di ordine pubblico e sicurezza, sanitaria compresa.

Da qui anche l’ennesima delega agli amministratori locali, ancora una volta trasformati in “deus ex machina” a sovranità limitata o come ama dire qualcuno in “sceriffi” dell’ordine pubblico e della sicurezza. Un ruolo per il quale non tutti i sindaci e i governatori sono tagliati allo stesso modo e per il quale la sensibilità politica di ciascuno assume un aspetto assai rilevante.

E allora forse un fondo di verità c’è tra quanti oggi sostengano a più riprese che il nuovo Dpcm sia una sorta di manovra pilatesca e procrastinante del meccanismo decisionale. A tal proposito Luca Sofri su Il Post, nella sua celebre rubrica Wittgentstein, parla de “Il Governo di lavarsi le mani”. E anche l’editoriale di Claudio Tito su Repubblica non fa sconti in tal senso: «ieri non è stata assunta sostanzialmente nessuna decisione. Tutto rinviato. Tutto procrastinato ad un prossimo bilancio di contagiati e di vittime, di terapie intensive e di guarigioni».

Un film già visto a marzo? La speranza è che non sia così, se non altro per la maggiore preparazione del personale sanitario e delle Unità di crisi locali a fronteggiare l’emergenza. Ma allora forse la dedizione al “prime time” dei “Dpcm della buonanotte” che gli italiani, con grande spirito di servizio, hanno riservato a Conte e al Governo durante le settimane di lockdown, potrebbe non avere gli stessi risultati in termini di applicazione pratica e di “audience”. E lo scenario suona un po’ così: «Metti Rai 1 che c’è il discorso di Conte». «Non ne ho voglia, tanto dice sempre le stesse cose, mi guardo la partita».

 

 

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