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Non chiudiamo gli occhi davanti al “lockdown degli affetti”

Maria ha 87 anni e non si ricorda più che cosa ha fatto pochi minuti prima.

Vive in una residenza per anziani a Elmas e soffre di demenza senile: non ha più la sua memoria breve. Da quando i contagi Covid-19 sono aumentati di nuovo, un’ordinanza regionale le impedisce di vedere i propri cari. Niente baci e abbracci, da quest’estate, neanche sorrisi, se non attraverso un gelido vetro o, peggio, a distanza, da un tablet o uno smartphone. Lo chiamano “lockdown degli affetti”.

Maria potrebbe scegliere di andare via, a casa, dalla sua famiglia, ma sarebbe costretta alla quarantena. Chi la conosce sa che in questo caso potrebbe morire.

La situazione di Maria – che è anche quella di migliaia di anziani in Sardegna, tra RSA, case di cura e ospizi – non è facile. Nelle sue condizioni, la mancanza di contatto e di presenza è vissuta come un abbandono. Le attività all’interno della struttura sono diminuite in maniera esponenziale e la regressione di molti pazienti è stata evidente.

Da poco Maria ha compiuto gli anni e i suoi familiari le hanno fatto recapitare una torta. Tutto quello che i suoi nipoti hanno potuto vedere è stato un video in cui la nonna spegneva le candeline. All’impotenza per la mancanza di contatto, nei figli si è aggiunto anche il senso di colpa.

E così al rischio di contagio si è sostituita una reale e opprimente solitudine, che in tanti, tra gli ospiti delle case di riposo, non riescono a spiegarsi.

Uno scenario triste, che va ad aggiungersi a una difficile situazione generalizzata. Molte strutture sono state decimate dal primo assalto del Coronavirus, poi è arrivata la crisi, dovuta al blocco dell’accoglienza dei nuovi ospiti, dall’aumento delle spese di assistenza, da una conseguente netta diminuzione delle entrate e, in diversi casi, dal rischio chiusura.

Uno scenario drammatico, per un lavoro sociale fondamentale nella nostra Isola. Una situazione che porterebbe alla perdita di posti di lavoro e, di conseguenza, alla diminuzione di servizi (con un aumento dei costi a carico delle famiglie degli anziani) per una delle frange più deboli della popolazione, insieme ai malati e ai disabili.

Ai danni economici e al calo delle attività si aggiunga il “lockdown degli affetti” e lo scenario è completo. Difficile andare avanti così, per gli anziani, i malati e i disabili. E per i familiari che, se non possono accarezzare i propri cari, vorrebbero almeno poter parlare loro, raccontare una giornata, commentare un fatto, magari assaggiare un dolce o semplicemente chiacchierare di questo e di quello. Comunque far sentire il proprio affetto. Un diritto negato, che inaridisce il cuore e diffonde solo tanta tristezza.

Anche i dipendenti delle case per anziani hanno una propria vita all’esterno, in teoria potrebbero essere contagiosi. E allora perché non dotare i familiari di tute, guanti e mascherine specifiche pur di regalare un momento di gioia ai propri genitori? Possibile che i nostri amministratori, i dirigenti e i funzionari non si accorgano che la situazione potrebbe essere migliorata con una deroga e dei semplicissimi accorgimenti? Possibile che non si capisca che le relazioni umane sono alla base della vita?

In nome della sicurezza si impoveriscono i legami sociali e chi non è toccato chiude gli occhi. Senza sapere che prima o poi, direttamente o indirettamente, tutto questo potrebbe toccare anche a lui.

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