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8mila metri in salita in meno di un giorno. L’impresa sportiva di Matteo Gregorio: “Vi racconto il mio Everesting”

 

Salire e scendere più volte su una collina o una montagna, per “scalare” cumulativamente 8.848 metri, cioè l’altitudine del Monte Everest, la cima più alta del mondo: questo lo scopo delle imprese sportive chiamate “Everesting”.

Matteo Gregorio, soccorritore marittimo e grandissimo sportivo, campano d’origine ma tortoliese d’adozione, dopo la quarantena ha deciso di cimentarsi in questa impresa e ha iniziato un duro allenamento su due ruote che gli ha consentito ieri di vivere questa avventura fino alla fine, a San Gregorio, una frazione del Comune di Sinnai.

Il tempo effettivo di pedalata è stato di circa 17 ore, quello di durata dell’impresa, complessivamente, di circa 21.

270 chilometri percorsi in bicicletta (5.5 km per 23 volte), 9mila metri di dislivello, 9mila calorie bruciate, 15 litri d’acqua bevuti. Ecco i numeri portati a casa, ieri, dall’atleta che sognava l’Everest e ora, in un certo senso, lo ha conquistato.

«Da vivo ho deciso di percorrere l’inferno per quasi 21 ore» ci spiega Matteo, orgoglioso del risultato raggiunto ma ancora provato dalla stanchezza fisica. «Partito alle 4:20 di venerdì e ho finito alle 24:30 di sabato. Finché non è arrivato il caldo ho pedalato abbastanza bene, ginocchio destro a parte, che sin da subito, probabilmente per un cattivo riscaldamento, ha iniziato a farmi male e mi ha accompagnato per tutto l’Everesting – racconta Gregorio – Quindi ho dovuto spingere sin da subito con la gamba sinistra, creandole un notevole sovraccarico. Il vero demonio è apparso però con il caldo. 42 gradi con punte di 45 gradi centigradi: non ricordo in vita mia di aver mai provato tanta sofferenza». 

«È stato decisivo per il raggiungimento della vetta, il supporto degli amici – conclude Matteo – ma ancor più decisivo è stato di nuovo lui, Michele Cancedda, che dopo la terza foratura è riuscito a convincermi a non mollar e mi ha accompagnato fianco a fianco per 2000 metri di dislivello nelle ore più calde. Spalla a spalla, come due guerrieri spartani. Mi ha aspettato fino alla fine con Toni Usai». 

Perché cimentarsi in una impresa così faticosa?  Chiara la risposta di Matteo: «Dopo la quarantena, periodo durante il quale mi sono sentito come un leone in gabbia, ho sentito il profondo desiderio di buttarmi in una avventura sportiva complessa, che mettesse alla prova i miei nervi e i miei limiti. Tanta era la voglia di riuscirci che sono riuscito a prepararmi in due mesi. Nella vita dobbiamo avere sempre grandi obiettivi da perseguire».

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