ogliastra.vistanet.it

Le donne che ci piacciono. La sessuologa Francesca Fadda: “Prendersi cura del corpo, della sensualità e delle relazioni”

Francesca Fadda è psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale, consulente ed educatrice sessuale. Cagliaritana, si occupa di problematiche relazionali e familiari, intervenendo nell’ambito della salute psicosociale e sessuale. In collaborazione con diverse associazioni promuove seminari e laboratori di educazione e consapevolezza sessuale dedicati a genitori e adulti.

È cofondatrice de La Formica Viola, un’associazione di promozione sociale che opera per la sensibilizzazione alla cultura del rispetto e delle differenze, principalmente su tematiche legate a sessualità, affettività, LGBTQ e cultura di genere.

Da circa dieci anni porta avanti un cammino di studio e crescita personale seguendo gli insegnamenti della Sintesi Personale, che nel diventare un approccio profondo alla vita integra e completa la sua pratica professionale, nella direzione di una unione armoniosa tra discipline e approcci differenti.

Oggi con lei parliamo di sessualità, sensualità, corpo femminile, femminismo, tabù sessuali e stereotipi di genere.

 

Quale ruolo ricopre internet nella sessualità femminile? Crea informazione o disinformazione? Confronto o confusione?

Negli ultimi anni sono aumentate le figure attive nel web e sui social capaci di contrastare l’immagine e la costruzione radicata di una sessualità femminile al servizio del maschile e della funzione riproduttiva. Un colosso della cultura patriarcale ed eterosessista che viene ancora alimentato da un certo tipo comunicazioni tossiche, sia istituzionali che pubblicitarie, da un modo monolitico di produrre pornografia e dagli stessi canali di informazione e divulgazione sulla sessualità. Le stesse riviste che si tingono di rosa, sebbene possano offrire informazioni corrette sulla sessualità, continuano a creare separazione tra ciò che è di dominio femminile, “parlare di sessualità”, e ciò che non lo è, rinforzando lo stereotipo che le donne parlano tra loro di argomenti diversi e in modo differente rispetto agli uomini, con il risultato che molte coppie, soprattutto eterosessuali, non riescono a parlare delle propria intimità.

Abbiamo però una grande opportunità, quella di scegliere con senso critico dove informarci, individuando figure professionali, influencer, attivist* capaci di dare ampio spazio alla narrazione del piacere  femminile, che parlino di sessualità in chiave transfemminista, scegliendo pornografia femminista e queer. Faccio qualche nome per dare una direzione alle mie parole, Carlotta Vagnoli, sex columnist, esponente del femminismo sex positive, Slavina, pornoattivista e sex coach, Erika Lust, regista e produttrice cinematografica erotica.  

 

Come è cambiata nel tempo, per le donne, la consapevolezza rispetto al proprio corpo e alla propria sessualità?

Per riflettere su questa domanda credo sia importante partire da cosa intendiamo per consapevolezza corporea, accordarsi sulle premesse è sempre importante. Dal punto di vista psicologico possiamo definirla come la sensazione di appartenenza rispetto al proprio corpo, sentire come proprie tutte le sue parti e le sue funzioni e potenzialità, inclusa quella sessuale. Mi viene in mente “Il corpo è mio”, uno dei diversi slogan femministi che dagli anni 70 ad oggi hanno espresso la necessità di rivendicare il diritto di autoderminazione e libertà di scelta per il proprio corpo. Se intrecciamo la consapevolezza corporea con la coscienza politica dell’influenza delle norme sui corpi e leggiamo i cambiamenti sociali degli ultimi 50 anni, possiamo affermare che una trasformazione è avvenuta in termini di diritti e di maggiore flessibilità e libertà di affermare il proprio corpo sentendo meno il peso dei vincoli morali e dei canoni estetici, rigidamente e stereotipicamente associati al genere femminile.

Tuttavia, abbiamo anche recentemente visto come sia alto il rischio di vedere modificata la legge che garantisce il diritto all’interruzione di gravidanza e ancora quanto sia frequente incontrare obiettori e obiettrici di coscienza negli ospedali e nelle farmacie che si oppongono all’aborto e alla prescrizione della cosiddetta pillola del giorno dopo. Rispetto al piacere erotico sono ancora tante le donne che non ne hanno contatto e piena libertà, che hanno incorporato il tabù sessuale e la doppia morale e vivono la sessualità con forte inibizione e vergogna, ignorando le potenzialità del piacere e spesso non conoscendo la stessa anatomia dell’area genitale, inaccessibile e talvolta non nominabile. Credo sia molto forte il bisogno di informazione ed educazione sessuale e di una vera e propria promozione della cultura della sessualità, per persone di ogni età.   

 

Come ti sei avvicinata al campo della sessuologia?

Mi sono avvicinata alla sessuologia dopo aver fatto un percorso di consapevolezza sull’influenza che l’educazione eterossessista ha avuto nella mia vita, una presa di coscienza prima individuale poi condivisa e sfociata nella creazione dell’associazione La Formica Viola. Creandomi gli strumenti per leggere le discriminazioni di genere ho visto chiaramente le omissioni nel sapere e nella formazione universitaria. Nei corsi di laurea e di specializzazione che ho seguito la sessualità non è mai stato un tema di studio e questa credo sia una carenza molto grave dei piani di studio che riflette l’imponenza e la pervasività dei tabù sulla sessualità della nostra cultura,  la stessa figura professionale sessuologica non è regolamentata e riconosciuta in Italia. Ho perciò sentito il bisogno e il dovere di formarmi in questa area così delicata, complessa, necessaria, non solo per psicolog* e psicoterapeut*, ma per tutte le figure che svolgono un lavoro che prevede la relazione d’aiuto, tanto nel campo dell’educazione quanto in quello della salute.

 

Qual è il problema più comune per cui le persone si rivolgono a te?

Per la mia specializzazione in psicoterapia relazionale e in ambito sessuologico è molto frequente ricevere richieste relative a problematiche affettive, relazionali e sessuali, vissute individualmente o in riferimento alla coppia o a reti di relazioni. Le tematiche possono essere specifiche della sessualità, come difficoltà erettive o dolore da penetrazione, o più personali e familiari, come affrontare una separazione o il coming out, prima di tutto con sé e poi con la famiglia e la rete sociale di riferimento.  

 

 

“Mi rifiuto di pensare ancora che tutto quello che facciamo prima e dopo la penetrazione sia un aperitivo o un digestivo – per me un pene che si ficca da qualche parte non è la portata principale del menù.”. Mi ha molto incuriosita questo tuo post. 

Uno dei più grandi miti della sessualità è legato alla visione fallocentrica e penetrativa dei rapporti, nell’immaginario e nel linguaggio comune fare sesso coincide con l’atto coitale in senso stretto, relegando a preliminari o coccole post sesso tutte le pratiche erotiche, i gesti, le carezze, che precedono o seguono un incontro di tipo penetrativo, che spesso rappresenta solo il 10% del rapporto. Con il risultato che l’incontro si riduce a prestazione fisica, obiettivo da raggiungere, competenza da dimostrare, tralasciando il sentire, il vissuto emotivo, la comunicazione di fantasie o anche il contatto più sensoriale tra i corpi, anche se questo avviene per un solo incontro. 

La norma sessuale per cui “se non c’è penetrazione non è sesso” è quella che porta a misconoscere la sessualità lesbica, avvolta dallo stereotipo che la vede manchevole, carente, castrata dell’impossibilità dell’atto coitale genitale. Le pratiche erotiche tra donne sono considerate innaturali, ancora più delle relazioni tra uomini, probabilmente proprio per la mancanza di penetrazione fallica. L’esperienza del vissuto lesbico ci insegna ad abbandonare la complementarietà dei corpi maschile e femminile a favore di una loro innovazione, nella direzione di un incontro paritario, concordato, negoziato in ogni suo aspetto. Uscire dal registro eterosessista è possibile e auspicabile anche nelle relazioni eterosessuali, significa moltiplicare le pratiche, sperimentare lo scambio, la parità, la fluidità dei ruoli.

 

“Ognuno di noi ha diritto al piacere”.  Il corpo delle donne con disabilità: cosa pensi dell’introduzione della figura professionale dell’assistente sessuale?

Con l’associazione la Formica Viola abbiamo sostenuto  il progetto LOVE GIVER e aderito all’Osservatorio Nazionale sull’Assistenza Sessuale per l’introduzione della figura OEAS – operatore e operatrice all’emotività, all’affettività e alla sessualità. Una professione che con diverse declinazioni e aree di competenze è riconosciuta e consolidata in diverse in realtà europee. In Italia la proposta di legge è ancora in stato di attesa, negli ultimi anni è stata avviata una formazione specialistica di professionist* capaci di offrire un supporto all’affettività, all’emotività e alla sessualità per persone con disabilità intellettive e fisiche all’interno di una equipé multiprofessionale in grado di redigere un piano personalizzato centrato sui bisogni delle singole persone. L’accesso al piacere non necessariamente richiede l’intervento di un OEAS, spesso il diritto viene negato dalle barriere culturali, dall’idea stereotipata che in presenza di una disabilità la sessualità non esista e debba essere sedato ogni impulso,  dalla carenza di una adeguata educazione alla sessualità, dalle difficoltà delle famiglie a farsi carico di aspetti legati all’affettività e all’intimità dei propri figli e delle proprie figlie.

 

“Rendi sensuale il tuo tempo”: perché l’autoerotismo è una buona pratica in generale e in quarantena in particolare?

L’autoerotismo è una pratica preziosa di conoscenza e cura di sé, un’occasione per esplorare il proprio corpo a qualsiasi età, non solo in adolescenza, scoprire le proprie risposte sessuali, le potenzialità sensuali e attivare l’immaginario erotico. In quarantena, come in tempi liberi da restrizioni, le pratiche masturbatorie permettono di mantenersi attive e attivi sessualmente, tenere attivo il contatto con il proprio corpo e tutti i suoi sensi, beneficiare degli aspetti fisiologici e psicologici che ne derivano. Come qualsiasi altra pratica erotica, l’autoerotismo fa bene alla salute, permette di fronteggiare lo stress, riduce le tensioni, può diminuire i dolori muscolari, libera dalla vergogna e dalle inibizioni. La solitudine della pratica erotica si nutre e alimenta le fantasie, che oltre ad avere una funzione edonica (legata strettamente al piacere), possono svolgere una funzione compensatoria, supplire alle mancanze della quotidianità soddisfacendo in modo fantastico desideri irrealizzati o irrealizzabili e appagando allo stesso tempo bisogni psicoaffettivi inesauditi, come il senso di sicurezza, minato di questi tempi dall’isolamento sociale e dalla mancanza di vicinanza fisica. 

 

La sessuologa belga Therese Hargot ha sostenuto che la liberazione sessuale abbia alla fine sottomesso le donne. La commercializzazione della sessualità e l’esasperazione dell’identità sessuale come aspetto della personalità ci stanno facendo perdere originalità e complessità, secondo la studiosa, le identità sono in realtà più deboli e meno capaci di relazioni costruttive. Cosa ne pensi? 

Come molte conquiste identitarie nella storia dell’umanità, credo che la liberazione sessuale abbia permesso di passare dalla totale repressione di un’area fondamentale del nostro potenziale alla sua scoperta ed esplosione. Vedo una ciclicità in questo processo, come se la fase di espansione che l’identità sessuale sta vivendo sia indispensabile per riconquistarsi lo spazio necessario ad esistere dopo tutto il periodo precedente di ritrazione. Un fenomeno analogo a quello del femminismo separatista che per permettere alle donne di crearsi lo spazio sociale fuori dal controllo maschile ha avuto necessità dei collettivi esclusivi, di luoghi fisici e simbolici in cui generare il confronto paritario, la messa in discussione, la definizione di pratiche.  

L’espansione che vive l’identità sessuale oggi si confronta con resistenze e complessità che contraddistinguono questo tempo rispetto agli anni 70 in cui la rivoluzione sessuale è cominciata. Una complessità che si esprime nella pluralità e nella fluidità, nella necessità di creazione continua di categorie per definirsi e per raccontare e legittimare modi differenti di esprimere le soggettività. Che dialoga con le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione e di incontro, fino a scontrarsi con nuove forme di uso e abuso sessuale in rete, dalle challenge più bizzarre e pericolose al revenge porn. 

 

Ho l’impressione che mentre prima, tra le lenzuola, dalle donne ci si aspettasse sottomissione e scarsa iniziativa nel tentativo di dimostrare di essere “brave ragazze”, adesso ci si aspetti a tutti i costi chissà quale trasgressione, volta a sembrare delle donne “libere ed emancipate”. Non siamo semplicemente passate da una necessità di soddisfare aspettative all’altra? Sembrano cose molto diverse ma sono figlie, forse, dello stesso problema di base?

L’immagine che mi arriva dalla tua domanda è quella della donna oggetto al servizio della sessualità maschile, prima nascosta tra le mura domestiche poi ostentata in una prova dimostrativa che risponde all’imperativo del dover essere all’altezza. La risposta alla liberazione sessuale è interpretata e ricodificata in modo soggettivo, interagisce con il sistema di valori che ogni persona si porta dal proprio bagaglio familiare e culturale. Allo stesso tempo la sessualità fa i conti con la civiltà della produzione e del progresso e le sue prescrizioni, a cui è asservita gran parte della nostra vita fin dalla prima infanzia per assecondare la logica perversa del dover produrre, fare investire energie, dimostrare, ottenere risultati. Cito il pedagogista Paolo Mottana che a questo proposito elogia la dissipazione dell’energia sessuale, dichiarando l’evidente fallimento delle logiche di lavoro e produzione e invitando a orientarsi nel presente e al piacere massimo che se ne può trarre nell’immediato.  “La sessualità, una volta sottratta al compito della riproduzione, è il perno di un’opera di rivolgimento del desiderio e dei desideri alla felicità dell’adesso, nella sua perpetua devoluzione al vuoto che origina”. (Paolo Mottana, Elogio delle voluttà per una gaia educazione sessuale, edizioni Mimesis, il caffè dei filosofi).

 

Cosa vuol dire, per te, essere femministi oggi? Quali sono le battaglie da portare avanti?

Sento un profondo senso di riconoscimento e gratitudine verso i femminismi, per i diritti e per le libertà che oggi diamo per scontate, anche se non sempre le esercitiamo, e per le quali molte donne e persone T, hanno lottato e continuano a lottare, vedendo stigmatizzate, invisibilizzate e disprezzate le proprie istanze e rivendicazioni.   Per me essere femministi, femministe, femminist* vuol dire partire da sé, prendere consapevolezza che dal momento che  abbiamo un corpo, parliamo, entriamo in relazione, acquistiamo beni e servizi, ci confrontiamo sistematicamente con il privilegio attribuito alle persone di genere maschile, bianche, cisgender ed eterosessuali.  Vuol dire problematizzare il genere, riconoscere la logica di potere nelle nostre relazioni e metterla in discussione. Vuole dire intervenire davanti a battute sessiste, omofobe, transfobiche nelle conversazioni quotidiane, identificare questi aspetti nel proprio atteggiamento e comportamento e riconoscere come alimentano la cultura patriarcale. Vuol dire assumersi costantemente la propria responsabilità e praticare l’autodeterminazione.

 

Ti sei mai sentita messa da parte o sminuita, in quanto donna, sul lavoro?

Iniziamo a lavorare quando giochiamo, quando attraverso l’immaginazione, la manipolazione, la relazione ludica, prendiamo confidenza con i ruoli professionali. Questo giocare ci forma, ci permette di contattare le nostre potenzialità e i nostri talenti, oppure ne ostacola la scoperta, se vengono incanalati con la rigida logica del binarismo di genere.

Faccio questa premessa perché non mi sono mai sentita direttamente sminuita nel lavoro da adulta, ma credo di essere partita con uno svantaggio nella mia infanzia. Dalle prime volte in cui volevo accedere alla pista delle macchine dei miei cugini e dovevo stare a guardare, al massimo aspettare il mio turno dopo la fila di maschi, per poi sentire le mani tremare mentre tenevo il telecomando e, nel vedere la macchinina cadere dalla pista, vergognarmi e pensare che non era un gioco per me.

Mi sono sminuita e questo disvalore ha invaso molti aspetti della mia vita, ma le premesse non erano paritarie, la mia scelta non era libera e certamente non potrò mai sapere se col tempo avrei preferito fare la pilota alla psicologa, ma so quanto le pagelle in cui si diceva che ero più predisposta agli studi umanistici abbiano messo da parte la possibilità anche solo di credere di potermi formare in ambiti scientifici, di scegliere per me ed eventualmente anche di sbagliare in libertà. 

 

Cosa ti colpisce ti più degli adolescenti e del loro rapporto con la sessualità? I corsi di educazione sessuale sono importanti nelle scuole?

I paradossi e gli opposti sono gli aspetti che più noto nelle persone adolescenti con cui ho modo di interagire attraverso il mio lavoro. Da un lato osservo una messa in scena di conoscenza e sicurezza in ambito sessuale, dall’altro una fragilità e un senso di incompiutezza, che se è tipico di questa presunta fascia d’età (presunta perché figlia della società post industriale), è anche il risultato di un impoverimento della curiosità e del contatto con il sentire, quel canale di ascolto di sé, anche solitario, che viene perduto nell’immersione totalizzante nel mondo social.  

L’educazione sessuale è imprescindibile sin dai primi anni della scuola dell’infanzia, ma si continua a ignorare l’urgenza di prendersi cura del corpo, della sensualità e delle relazioni. Così possiamo incontrare bambini e bambine di 9 anni che conoscono il linguaggio pornografico e si formano un fantasma di come dovrebbe essere il loro corpo, quanto a misure e prestazioni, ma non sanno nominare correttamente i propri genitali, perché fino a un anno prima il pene era un pisellino e la vulva un fiore e dal mondo dell’ortofrutta passano in pochi mesi a condividere sul proprio smartphone immagini prese con grande facilità dal porno mainstream.

Esaspero, ma non tanto, per sottolineare l’urgenza di corsi di educazione alla sessualità per ogni livello scolastico, di percorsi di formazione per docenti e dirigenti, di progetti culturali di promozione della sessualità attraverso l’arte, il cinema, la pittura.  

 

Perché nel 2020 le mestruazioni sono ancora un tabù?

Continuiamo a portarci il peso millenario della trasformazione del sangue mestruale da liquido sacro a immondizia, operata dalle religioni monoteiste e rinvenibile nelle scritture bibliche e nel corano. Una tara culturale che porta i pubblicitari e le pubblicitarie a tingere di blu il sangue negli spot per dispositivi mestruali. Un tabù che impedisce di usare le parole mestruazioni, che fa abbassare la voce quando si chiede un assorbente, che ridicolizza le donne per la tensione emotiva che possono vivere nella fase premestruale. Il tabù mestruale è ancora un dispositivo culturale di controllo della libertà femminile, nascondendo il sangue si nascondono i corpi, si omette la sessualità femminile, si rende inaccessibile la possibilità di sapere che, per esempio, per molte donne è estremamente piacevole avere rapporti durante la fase di sanguinamento e che il sangue in passato, e ancora oggi in alcune società, è considerato un fertilizzante potente capace di far crescere le piante!  Non lo dico per invogliare le donne a usare il sangue per innaffiare i fiori, posto che si è libere di farlo – anche solo come modo creativo per conoscere il proprio sangue, guardarlo, non considerarlo spazzatura e compiere un gesto ecologista – ma per riflettere su come siano le credenze e le norme culturali a decidere che valore hanno i nostri corpi e le loro produzioni. 

 

Quali letture ci consigli contro gli stereotipi di genere?

Gli studi di genere sono prolifici e ricchi nell’area filosofia, psicologica, linguistica, così come nella narrativa per adulti e per l’infanzia. Scelgo quattro titoli che nell’ultimo anno mi hanno accompagnata e che sento di consigliare per fruibilità della lettura e capacità di arrivare in modo incisivo nella vita quotidiana.

Mio figlio in rosa di Camilla Vivian, edizioni Manni.

Diventare uomini, relazioni maschili senza oppressioni, di Lorenzo Gasparrini, Edizioni Settenove.

L’aurora delle trans cattive. Storie, sguardi e vissuti della mia generazione transgender, di Porpora Marcasciano, edizioni Alegre.

La Fata turchina, albo illustrato a cura di Mariasole Brusa e Marta Sevilla, Matilda Editrice.

 

 

Exit mobile version