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Confagricoltura: “Lotta serrata alla peste suina. Solo con eradicazione si può rilanciare il comparto”

 

“Alla luce degli straordinari risultati raggiunti in questi ultimi anni dalla Regione Sardegna nel contrasto alla Peste suina africana, anche grazie all’impegno e alla collaborazione propositiva dimostrata dalla nostra associazione di categoria, è necessario non abbassare la guardia e proseguire con determinazione nell’applicare il piano di eradicazione, soprattutto contro il pascolo brado illegale. Solo dopo la sconfitta definitiva della malattia, ora veramente a portata di mano, si potrà rilanciare seriamente l’intero comparto suinicolo sardo, da troppi anni messo all’angolo con blocchi nella commercializzazione dei prodotti fuori regione e con continue limitazioni sanitarie nei territori limitrofi ai siti di focolaio della Psa”.

L’appello alla politica e ai diversi portatori di interesse arriva dal presidente regionale di Confagricoltura Sardegna, Luca Sanna, a pochi giorni dalla visita degli ispettori inviati dalla Commissione europea in Sardegna (in programma dal 24 al 28 giugno) per fare il punto sulla lotta al pericoloso virus dei suini. “È bene che a Bruxelles arrivi un report positivo dove venga apprezzata la forte volontà, messa in campo dalla politica e da migliaia di allevatori regolari, nel voler liberare la nostra terra da una piaga lunga 41 anni. Dal 1978 a oggi infatti i capi presenti in Sardegna sono passati da oltre 300 mila ad appena 187 mila: un tracollo produttivo che ha causano enormi perdite economiche e un ridimensionamento generale dell’intero comparto isolano.

In mancanza di certezze sulla libera commercializzazione oltremare di carni e derivati – ha aggiunto il presidente di Confagricoltura – è comprensibile la preoccupazione che aleggia fra gli allevatori suinicoli sardi e che ne frena gli investimenti”. Proprio la riapertura per tutti i territori della Sardegna delle vendite extra regione, oggi concessa solo alle zone indenni da PSA, sarà al centro della visita del Commissario europeo per la salute e la sicurezza alimentare, Vytenis Povilas Andriukaitis, in programma il prossimo settembre a Cagliari. “Per raggiungere la definitiva liberalizzazione dell’intero territorio regionale – ha concluso Sanna – è necessario che la nuova Giunta dia le dovute garanzie e concluda il lavoro di lotta alla PSA avviato con successo dal precedente Esecutivo, così da chiudere definitivamente questo capitolo negativo per la suinicoltura isolana e per l’intera economia della Sardegna”.

Il crollo dei focolai. L’ultimo focolaio registrato in un allevamento sardo risale al settembre 2018, mentre sono appena 5 quelli segnalati negli ultimi 22 mesi.  Nel periodo 2012-2014 si erano verificati 223 focolai, con una media di oltre 74 per anno e circa 6 al mese; nel triennio successivo, 2015-2017, erano stati invece 56 (un calo del 75%) con una media di 19 per anno e di circa 1,5 al mese. Nel 2018 i focolai nei suini domestici sono stati solo 5, contro i 109 del 2013, e nessuno nel 2019.

Riduzione suini illegali. A fronte di una popolazione suinicola illegale, stimata nel 2015 in circa 5 mila capi bradi, si è passati, grazie all’attività di depopolamento promossa dall’Unità di Progetto regionale per l’eradicazione della Psa, a poco più di mille animali stimati oggi.

Parziale apertura all’export. La Commissione Europea, lo scorso mese di aprile, ha tolto il veto all’esportazione dei prodotti sardi. Il provvedimento riguarda, per ora, esclusivamente le aree dell’Isola indenni dalla Psa: Sulcis, Campidano, Oristanese e alcune zone di Barbagia, Goceano e Ogliastra.

Interventi normativi. Lo scorso anno il Consiglio regionale ha approvato la legge regionale 28 del 2 agosto 2018 (Disposizioni per la valorizzazione della suinicoltura sarda) che rappresenta un insieme organico di misure che puntano a stimolare l’emersione dall’irregolarità, creare condizioni commerciali più favorevoli e rafforzare la tipicità e la differenziazione qualitativa delle produzioni suinicole.

Contrasto alla Psa. Dal 1978, prima la sola Regione Sardegna e poi in accordo con la Commissione europea, sono stati adottati diversi piani di eradicazione per evitare la diffusione della malattia verso la penisola e altri territori dell’Ue. Tali misure prevedevano, tra le altre cose, il divieto assoluto di esportazione dalla Sardegna di carne e prodotti derivati. In deroga a tali provvedimenti, nel 2005 è stata autorizzata l’esportazione di prodotti a base di carne suina, originari di aziende situate al di fuori delle zone a rischio, a condizione che soddisfacessero specifici requisiti in materia di biosicurezza. Dal dicembre 2011, a causa della recrudescenza della malattia, tale deroga è stata sospesa e tutto il territorio regionale è stato considerato come zona a rischio.

Nel 2014 la svolta. Un radicale cambio di rotta attribuibile a una serie di fattori, primo fra tutti: la costituzione di una Unità di progetto (UdP) per iniziativa della Giunta regionale, che ne ha fatto un punto qualificante della propria azione di governo. L’UdP ha coordinato quindi tutte le attività, condivise con le Organizzazioni agricole e altri portatori di interesse. Inoltre, a caratterizzare questa nuova politica contro la Psa, è stato determinante il nuovo Piano straordinario di eradicazione con al centro il deciso contrasto al pascolo brado illegale, anche attraverso l’abbattimento dei suini irregolari e, non ultima, l’attività di informazione coordinata dall’Agenzia regionale Laore e portata avanti in maniera capillare e in misura significativa anche da Confagricoltura Sardegna con 8 iniziative territoriali, dove i Comuni sono stati individuati in base alla sensibilità e al coinvolgimento nel problema.

A tutto questo si aggiunge, nell’ottica di un’azione sinergica, l’estensione anche al comparto suino della Misura 14 del PSR 2014-2020 sul Benessere animale, che ha avuto come obiettivo non secondario quello di essere funzionale alla lotta alla Psa, ed ha costituito un incentivo all’emersione, contribuendo a creare una cultura di impresa sana ed efficiente.

Altro elemento determinante è stato certamente il cambio di atteggiamento da parte degli allevatori che ha consentito una impostazione dell’allevamento suino con criteri moderni, pur salvaguardando le pratiche tradizionali, attraverso la valorizzazione degli allevamenti semibradi confinati.

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